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Paesi Bassi, Slovenia, Italia, Estonia: le crisi di governo che preoccupano l’Unione Europea

16 Gennaio 2021 - 07:40 Riccardo Liberatore
A Bruxelles il timore è che le crisi nazionali possano ritardare l’approvazione dei vari piani per il Next Generation Eu (Ngeu) e rinsaldare i partiti anti-europeisti

Con le dimissioni del premier Mark Rutte nei Paesi bassi e la mozione di sfiducia presentata dai partiti di opposizione in Slovenia, le crisi di governo nei Paesi membri dell’Unione europea diventano tre e mezzo. Oltre a quella italiana, c’è anche l’Estonia, dove il premier Juri Ratas si è dimesso a seguito di un’inchiesta per corruzione in corso contro il suo partito, che dal 2019 governa una coalizione che comprende anche il partito nazionalista ed euroscettico Ekre. Nel frattempo, a poche ore dalle dimissioni di Rutte, in Slovenia i partiti di opposizione hanno presentato in parlamento una mozione di sfiducia nei confronti del governo di centrodestra di Janez Jansa. Bisognerà aspettare settimana prossima per conoscere l’esito del voto.

Così, nel giro di pochi giorni, con l’epidemia di Coronavirus che non dà segni di cedimento e le scadenze per gli aiuti che si avvicinano, l’Ue si trova a fare i conti con una nuova onda di instabilità politica e con la possibilità di un ritorno al potere dei partiti euroscettici, soprattutto in Italia e in Olanda, dove il partito del sovranista Geert Wilders è secondo nei sondaggi dopo quello dell’uscente Mark Rutte, che però adesso – e in vista delle elezioni di fine marzo – dovrà fare i conti anche con le ricadute, in termini di consenso, della crisi che ha investito il suo governo.

L’inquietudine a Bruxelles

L’unico leader delle istituzioni dell’Ue ad aver lanciato un allarme dopo che la notizia della crisi di Governo in Italia è stato il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, il quale in un comunicato ha ribadito quanto sia fondamentale il piano del Recovery Plan varato dal governo italiano e quanto sia «un bene prezioso anche per l’Ue» la stabilità dell’Italia. Ursula von der Leyen, si sarebbe limitata a interpellare il commissario europeo Paolo Gentiloni per accertarsi che l’iceberg Renzi non affondi il titanic giallo-rosso, mentre la Commissione ha semplicemente detto che coopererà con le autorità in carica, qualsiasi esse siano.

Ma il clima prevalente pare essere di preoccupazione. «C’è incredulità tra i colleghi – racconta a Open l’eurodeputata del Movimento 5 Stelle Tiziana Beghin – e anche un po’ di stupore, anche perché le crisi si stanno moltiplicando. Fondamentalmente quello che ho percepito è la volontà di mantenere una stabilità e non mettere a repentaglio il lavoro fatto fino ad adesso». Fondamentalmente l’incredulità – e la curiosità – sono dovute al fatto che, a differenza di quanto accade nei Paesi Bassi o in Slovenia, le origini e le cause della crisi italiana sono poco chiare. Ma c’è anche chi la prende con filosofia. «È l’Italia, siamo abituati”: ricorre spesso questa frase…. », racconta Beghin.

Le scadenze per il Recovery Plan

Come ha sottolineato Sassoli la preoccupazione è dovuta, almeno in parte, al fatto che questa crisi di Governo potrebbe ritardare l’approvazione dei vari piani per il Next Generation Eu (Ngeu) e quindi l’inizio del “New Deal Europeo”. Il tempo stringe, ma non troppo, visto che il termine ultimo per la presentazione del piano a Bruxelles è il 30 aprile. Prima dovrà approdare alla Commissione bilancio, cosa che dovrebbe accadere a breve, con l’obiettivo di portarlo in aula per metà febbraio. Come sottolinea anche Beghin, «c’è ancora tempo».

Il problema – soprattutto per quanto riguarda l’Italia – è politico e riguarda la fiducia nel governo. «Nei Paesi Bassi, Rutte si è dimesso e in teoria tornerà con un governo provvisorio prima delle elezioni – dichiara Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi -. Comunque, visto che Rutte ha dato le dimissioni, è uno scenario più tranquillo rispetto all’Italia dove invece dobbiamo capire se, nelle prossime scadenze di approvazione, veramente Italia Viva farà o non farà mancare la maggioranza».

«Alla fine il negoziato è sempre stato politico – continua Villa -, lo è stato a luglio, lo è stato a dicembre, quindi duranti i Consigli europei che ci hanno portato al Recovery Fund. Più il governo è forte, più è probabile che possiamo avere margini di spesa più ampi. Se è una maggioranza debole, diventa un pochino più difficile. I malumori non sono altro che un’espressione politica – più che tecnica – rispetto all’ipotesi che l’Italia possa rappresentare un problema in futuro».

Adesso il prossimo appuntamento è con l’Eurogruppo lunedì dove il ministro dell’Economia Gualtieri probabilmente si troverà costretto a spiegare ai suoi omologhi cosa sta accadendo, così come dovranno fare anche i ministri delle finanze estoni, olandesi e sloveni. Poi il 27 gennaio ci sarà la firma del nuovo trattato per riconfermare il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), ma forse a quel punto, almeno in Italia, la crisi di Governo sarà finita.

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