Onlyfans, la piattaforma che può far cadere il tabù del sex work: «Ma vendere foto di nudo vuol dire ancora essere insultata» – L’intervista
Un giorno di metà settembre, dopo una primavera difficile e un’estate non proprio spensierata, Sofia decide di iscriversi a OnlyFans. Si tratta di una piattaforma online che permette agli utenti di caricare foto e video personali a pagamento. C’è chi mette performance artistiche, chi carica video di ricette, chi lezioni di fitness o yoga. Ma c’è soprattutto chi, come lei, mette in vendita materiale pornografico. Il suo è un nome di fantasia: preferisce tutelarsi, dice, perché non tutte le sue conoscenze hanno superato il tabù del sex work – in primis i suoi capi.
Lei è fortunata, racconta, perché un lavoro già ce l’ha. Molte persone che si sono iscritte quest’anno l’hanno perso a causa del Coronavirus o sono rimaste molto tempo a casa senza fare nulla. Ma anche lei ha i suoi pensieri: nonostante il suo impiego ufficiale le garantisca un’entrata modesta, gli affitti a Milano costano caro e la vita pure. Di questi tempi i soldi non bastano mai, racconta, soprattutto se si vuole mettere da parte qualcosa per il futuro.
Il caso
Fondata nel 2016 da Tim Stokely, OnlyFans era già nota per aver rivoluzionato la dimensione della pornografia negli ultimi anni, tanto dal punto di vista dei fruitori che dei performer. Ma è stato quest’anno, a partire dal lockdown primaverile, che l’azienda ha registrato l’impennata di iscrizioni definitiva, con un aumento del 75% degli utenti in pochi mesi, tra marzo e aprile. Come racconta il New York Times, dai 120 mila creator del 2019 si è passati a oltre 1 milione nel 2020.
A far scoppiare il caso OnlyFans era stata la “trovata” dell’attrice statunitense Bella Throne, che lo scorso agosto ha aperto un profilo privato sulla piattaforma lanciando un abbonamento da 20 dollari al mese. In una manciata di ore, Throne ha raccolto più di un milione di dollari. Peccato che non avesse caricato alcuna foto di nudo – dettaglio che ha fatto infuriare tanto gli utenti, che l’hanno accusata di “truffa”, quanto le sex worker, che non hanno gradito la presa in giro del loro mezzo di lavoro.
Luci e ombre
OnlyFans ha parecchi punti di forza. Concede alle performer del sesso di gestire i loro ingressi e il loro lavoro, contribuendo all’emancipazione del settore dalle logiche di sfruttamento proprie anche dell’industria del porno. D’altra parte, però, ci sono diverse ombre e questioni irrisolte. Interrogativi che hanno direttamente a che fare con le tutele offerte ai lavoratori e con la loro reale autonomia: come garantire, per esempio, il rispetto del copyright sulle foto ed evitare che vengano diffuse senza consenso su altri canali? E, soprattutto, quanto dovremmo fidarci dell’ennesima piattaforma di mediazione che sottrae ai suoi creator una parte del guadagnato in cambio di un (imprescindibile) palcoscenico? Nell’era della gig-economy e dello strapotere delle app, chiederselo non è poi così superfluo.
Sofia, perché ti sei iscritta a Onlyfans?
«Mi sono decisa a farlo a settembre scorso. Principalmente per soldi: se vivi a Milano, hai un affitto e uno stipendio medio, avere qualcosa da mettere da parte per stare più tranquilli non è facile. Ma in verità l’ho fatto anche perché non ho problemi con la sessualità, mi diverte e mi gratifica. Credo sia un lavoro come un altro».
Hai molte amiche o amici che lo fanno?
«Sì, molte. Io e una mia amica abbiamo deciso di aprire il profilo quasi contemporaneamente e da quel giorno diverse ragazze che mi seguivano su Instagram hanno iniziato a chiedermi consigli su come fare. Anche diversi amici maschi lo usano».
Perché, secondo te?
«Per tanti motivi. Intanto perché, pur essendo sex work, non lo è a tutti gli effetti. Si tratta di mettere in vendita foto o video, quindi è meno impegnativo di una prestazione sessuale completa. Molte persone che si trovano a loro agio con il proprio corpo e che non vivono la sessualità come un tabù hanno scoperto che potevano tirare su qualche soldo in questo modo. E sì, certamente il fatto che Bella Thorne abbia aperto un suo profilo ha dato a OnlyFans una “botta” di popolarità».
A proposto di sex work: una piattaforma del genere potrebbe aiutare a far cadere i tabù che ne impediscono il riconoscimento come “lavoro vero”?
«Spero di sì, anche perché gli dà una nuova chiave di lettura: i creator di OnlyFans sono persone che in autonomia e senza forzature scelgono di fare questo lavoro. Poi non è mai così facile: a me per esempio è capitato più volte di parlare con ragazzi che, una volta scoperto che vendo foto di nudo, usano questa cosa per insultarmi. Mi dicono: “Ti degradi, vendi il tuo corpo per soldi”. Quindi il percorso di accettazione è molto lungo, soprattutto in Italia».
Anche tu hai aspettato un po’ prima di deciderti a farlo. Perché? Quali erano gli ostacoli che ti spaventavano di più?
«In primis direi per il lavoro. Non sai mai come i capi o i colleghi possano prendere il fatto che un/una dipendente (specie se donna) venda foto porno online. Poi ovviamente la famiglia: io non potrei mai dirlo ai miei genitori, perché loro sono molto cattolici e non la prenderebbero benissimo. C’è sempre l’ansia che le foto vengano diffuse online, e sono sicura al 90% che le mie siano state inviate in chat o siti esterni. Ma in realtà, se non fosse per il “giudizio” altrui, la cosa non mi preoccuperebbe così tanto».
Perché c’è stato un boom di iscrizioni durante il lockdown?
«Da quanto ho sperimentato su di me e sulle persone che conosco, il lockdown e la pandemia hanno portato inizialmente un calo della libido. Poi però si è diffusa la volontà di provare altre forme di sessualità, meno scontate dei soliti video che si trovano sulle piattaforme patinate e costruite. C’era la voglia di entrare, anche solo virtualmente, in casa di qualcun altro. Si cercava qualcosa di più vero, di più intimo. Spesso sono le stesse persone che segui su Instagram, il che da sicuramente una dimensione diversa all’esperienza. E poi, ovviamente, c’è il lato del creator, cioè di chi pubblica i contenuti: qui le motivazioni sono molte di più. C’è chi aveva perso il lavoro e chi semplicemente si annoiava».
Dal punto di vista di chi vende, c’entra anche la crisi economica legata alla pandemia di Covid?
«Sì, certo. Molte persone lo hanno fatto e lo fanno per arrotondare. Ma in realtà, Covid o no, molti giovani che lavorano non riescono a guadagnare così tanto da mettere da parte qualcosa. Io per esempio ho un impiego regolare, ma vendendo foto pornografiche riesco a mettere via dei risparmi per aprire un mutuo più in là, o pagarmi le visite mediche che altrimenti non potrei fare a cuor leggero».
Cos’ha di diverso questa rispetto alle altre piattaforme più conosciute e all’industria del porno in generale?
«L’autonomia e il consenso. Nell’industria pornografica c’è sempre stato un certo livello di sfruttamento. Senza scomodare il revenge porn che troviamo su PornHub, le pornostar – grandi e piccole – hanno spesso raccontato di aver subito violenze e forzature. Quello del porno è un mercato a tutti gli effetti, e per avere un contratto devi sottostare a certe regole. Qui invece decido io quando, cosa e come postare. E anche quanto farmi pagare».
OnlyFans non è però esente al 100% da rischi di sfruttamento sul lavoro. Non c’è la possibilità che diventi l’ennesima piattaforma di gig-economy?
«Il rischio c’è. Già trattiene il 20% delle entrate dei creator. Col passare del tempo ci sarà sicuramente da farsi delle domande. Ma al momento, avendo anche un altro lavoro, me ne preoccupo il giusto. D’altronde ormai tutte le piattaforme fanno così, anche Twitch, che ha ugualmente avuto grande successo durante la pandemia».
E di rischi ce ne sono anche altri, come la diffusione su internet dei video e delle foto. Che fare?
«Esistono una quantità spropositata di gruppi Telegram dedicati alle ragazze di OnlyFans, ma anche forum pieni di foto comprate e poi ripostate. Ma non dimentichiamo che, per quanto difficile (non si sa mai facilmente chi è l’utente che ha diffuso il materiale), ci sono i margini per denunciare. Non è un reato di revenge porn, perché quella persona la foto l’ha comprata, ma è a tutti gli effetti violazione di copyright».
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