Il rischio di mischiare test rapidi e molecolari. Sebastiani: «Così si abbassa la percentuale di positività»
Quanto sono affidabili i test rapidi? La risposta è stata data fin dalla loro approvazione: non quanto i tamponi molecolari. Si parla di percentuali di sensibilità che variano tra il 75% e l’85%. Test utili, sì, ma non alternativi. Eppure da mesi ormai vengono utilizzati massicciamente nei territori per rendere più snello ed efficace il tracciamento, mandato in tilt dalla seconda violenta ondata di Covid esplosa a ottobre 2020. A partire dal 15 gennaio, alle Regioni è stato consentito di inviare al Ministero della Salute anche il numero di test antigenici eseguiti giornalmente. Ora nel bollettino i risultati derivanti da i due tipi di test vengono uniti e il tasso di positività viene calcolato sulla base di entrambi i dati. Le conseguenze di questa scelta, però, non sono da poco. Anzi: secondo il matematico del Cnr Giovanni Sebastiani, si tratta di una scelta potenzialmente pericolosa e inutilmente dispendiosa.
L’affidabilità: la percentuale di positivi
Come aveva spiegato a Open il professor Fortunato Paolo D’Ancona, ricercatore del Reparto di Epidemiologia delle Malattie infettive e membro dell’Istituto superiore di sanità, la capacità dei test antigenici di identificare tutti i casi veramente positivi al tampone classico «non è ideale». La loro velocità ha un costo in termini di sensibilità: sono utili per isolare velocemente un soggetto in situazioni di screening di massa, ma non possono condurre un monitoraggio da soli. Facendo qualche calcolo sui dati forniti in questi due giorni, quello che ne esce è un quadro anche meno roseo delle aspettative. Come ha notato il professor Sebastiani, la percentuale di positivi sui test varia sensibilmente tra tamponi antigenici e molecolari:
- Positivi sui molecolari: 9,5%
- Positivi sui rapidi: 0,9%
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- Positivi sui molecolare: 9,7%
- Positivi sui rapidi: 0,8%
Ammettendo anche che avessero un livello di sensibilità uguale o leggermente inferiore a quello dei molecolari, i test antigenici hanno dimostrato una capacità di individuare i postivi 10 volte minore di quella dei diagnostici. Una dato che, per Sebastiani, «non ne giustifica l’impegno di risorse». Guardando ai bollettini, inoltre, ben 9 Regioni hanno fatto negli ultimi 2 giorni oltre 100 mila test rapidi (complessivamente), trovando in tutto 0 positivi. «Le cose sono tre», sottolinea Sebastiani. «O questi test hanno un tasso di sensibilità bassissimo, o si stanno usando male. O un mix di entrambe le cose».
Il nodo è il target
Come ribadito più volte anche dal New England Journal of Medicine, i test antigenici dovrebbero essere effettuati solo quando si cerca l’infezione in soggetti che hanno un’alta probabilità di essere positivi, così da permettere la quarantena immediata, fermo restando il fatto che tutti gli esaminati sono da confermare con test molecolare. Parliamo di pazienti con sintomi di Covid-19 in Pronto Soccorso, persone in focolai accertati, operatori sanitari al lavoro. Se non si fa attenzione al target, ricordano gli esperti, il tasso di falsi negativi aumenta in modo definito e «non accettabile» (superiore al 5%).
La stessa Associazione italiana di Epidemiologia (AIE) aveva formulato delle raccomandazioni specifiche sul loro utilizzo. Oltre a indicarli come strumenti utili al solo fine dell’isolamento rapido e preventivo al molecolare, l’Associazione suggeriva che «l’introduzione di test per screening di massa in situazioni di basso rischio appare prematura e deve tenere conto della bassa validità del test in queste condizioni e, soprattutto, della compatibilità con le attuali risorse e situazione epidemiologica».
I dubbi sul caso italiano
Alla luce dei dati, il dubbio è che le cose vadano molto diversamente, e che al test rapido venga affidato molto più terreno di quanto non si dovrebbe (pensiamo alla loro facile fruibilità, anche in farmacia). Una strategia di controllo più veloce, certo, e che migliora il tasso di positività della popolazione sui grafici e nei report. Un quadro che può tornare utile alle Regioni da un punto di vista meramente amministrativo, ma che non appare certo efficace nel fotografare la reale portata del contagio e a sviluppare, quindi, una strategia di contenimento adeguata. «Test del genere non vanno bene per il monitoraggio dei territori», conclude Sebastiani. «Scegliendo di sommarli a quelli molecolari nel conteggio giornaliero, quello che ne deriva è che la percentuale di positivi si abbassa e diventa meno veritiera ai fini di monitorare la pandemia».
Immagine di copertina: ANSA PAOLO SALMOIRAGO
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