Cosa sappiamo davvero della variante «sudafricana»
È stata classificata come variante 501Y.V2. È caratterizzata dalla mutazione N501Y ed E484K del genoma di SARS-CoV-2, il nuovo Coronavirus. Per comodità la si definisce variante sudafricana, dal paese in cui è stata registrata per la prima volta, il 18 dicembre 2020. Come spiegavamo in un precedente articolo, questa variante, come quella inglese e altre che preoccupano gli esperti, riguarda il Receptor Binding Domain (RBD) della glicoproteina Spike (S), ovvero l’antigene del virus: lo strumento con cui si lega ai recettori delle nostre cellule.
Cosa suggeriscono gli studi
Secondo l’OMS che monitora l’emergere delle varianti, a partire dalla mutazione divenuta dominante rispetto al ceppo originale di Wuhan (D614G), la variante 501Y.V2 non è associata chiaramente «a malattie più gravi o esiti peggiori» della Covid-19. Dal momento che questa mutazione si è diffusa velocemente in Sudafrica, studi preliminari suggeriscono un maggiore impatto nella sua capacità di trasmissione, legata a un miglior legame di RBD con le nostre cellule. Sono in corso anche studi riguardo alla possibilità che i vaccini attualmente in via di somministrazione e le terapie basate sugli anticorpi monoclonali, possano essere messe in difficoltà da tale variante.
In generale le varianti sono emerse in circostanze particolari, su pazienti immunocompromessi sottoposti a plasma iperimmune e antivirali. Per la variante sudafricana questo si teme soprattutto a causa della mutazione E484K. Parliamo di qualche centinaio di singoli casi, a fronte di oltre 300 mila genomi sequenziati fino a oggi. Le evidenze riguardo a diffusione e pericolosità sono dunque limitate.
Quali sono le preoccupazioni per vaccini e farmaci
In Sud Africa la mutazione è stata più significativa rispetto a quella registrata nel Regno Unito, come spiega il professor Shabir Madhi alla BBC.
«La preoccupazione nasce dal fatto che il virus qui è mutato molto più della variante nel Regno Unito, e una di queste mutazioni potrebbe significare che può eludere l’attacco di anticorpi che normalmente combatterebbero il coronavirus», riporta l’emittente britannica.
Non di meno, le conseguenze difficilmente renderebbero inutili i vaccini, tuttavia la possibile capacità del virus di mettere in maggiore difficoltà gli anticorpi, potrebbe ridurne l’impatto. Ne consegue che la priorità per gli esperti è innanzitutto quella di accelerare la somministrazione dei vaccini nel mondo. In seconda istanza vanno studiate le procedure per rendere più veloce l’aggiornamento dei vaccini di nuova generazione, quelli basati su frammenti di RNA, che trasportano solo il messaggio per far produrre l’antigene dalle nostre cellule, allenando così il Sistema immunitario a prevenire l’infezione. Un discorso analogo si potrebbe fare per i farmaci monoclonali.
Foto di copertina: TheDigitalArtist | Il genoma del nuovo Coronavirus.
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