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Vaccini in ritardo, Remuzzi insiste: «È l’occasione per farli a più persone: una sola dose di Pfizer può proteggere fino all’80%»

21 Gennaio 2021 - 13:08 Giulia Marchina
giuseppe remuzzi due pandemie variante omicron delta
giuseppe remuzzi due pandemie variante omicron delta
La teoria del direttore del Mario Negri potrebbe aiutare in prospettiva dell’estate: per allora le autorità sanitarie contano di voler vaccinare il maggior numero di persone possibile

I ritardi nelle consegne dei vaccini contro il Coronavirus sono l’occasione di fare di necessità virtù, secondo il direttore dell’istituto Mario Negri di Milano, Giuseppe Remuzzi. In un intervento sul Corriere della Sera, lo scienziato rilancia la sua proposta di alcuni giorni fa con cui ha proposto di somministrare a più persone le prime dosi, facendo anche slittare i tempi per i richiami. Una strada già indicata dal modello usato nel Regno Unito, dove le due somministrazioni vengono programmate fino a 12 settimane tra loro. Una soluzione che secondo Remuzzi potrebbe risolvere nel modo più efficace i disagi che le consegne ridotte rischiano di provocare sul piano vaccinale italiano, senza che l’efficacia dei vaccini ne sia penalizzata.

Il vaccino Pfizer e la sua efficacia

Una sola dose del vaccino Pfizer – quello a RNA messaggero – arriva all’80% di efficacia, e anche più. La percentuale stimata del 52,4% è valida solo nel caso in cui si contino anche quelli che si ammalano prima del dodicesimo giorno dalla somministrazione, quando il sistema immunitario non ha ancora fatto in tempo ad organizzarsi. «Immaginiamo di avere un milione di dosi di vaccino e di voler proteggere 1 milione di persone», dice Remuzzi. Se facciamo due dosi – considerata un’efficacia del 95% – proteggiamo 475 mila persone. Con una singola dose, invece, per un’efficacia anche solo dell’80%, ne proteggiamo 800.000. In questo caso significherebbe che l’idea approntata dall’Inghilterra potrebbe avere una sua validità», dice.

Variante Covid

Alla domanda se iniettando una sola dose di vaccino questo possa favorire l’emergere di varianti resistenti al farmaco, Remuzzi spiega che tutto è possibile, ma potrebbe anche essere vero il contrario: «che sia un eccesso di risposta immune a spingere il virus a mutare, quindi no a due dosi troppo ravvicinate. Chi l’ha detto? Andrew Pollard che guida tutti gli studi clinici sui vaccini di Oxford».

Il caso AstraZeneca e gli altri

Per i vaccini a vettore virale – AstraZeneca, Johnson & Johnson e Sputnik – le cose cambiano. Anzitutto il vettore virale è un virus reso innocuo che serve solo per trasportare nelle cellule dell’ospite l’informazione necessaria a formare la proteina «spike». Remuzzi rivela che, originariamente, i protocolli di AstraZeneca prevedevano una sola dose. L’approccio alla terapia è stato nel tempo modificato, prevedendo quindi due dosi. Chiaramente c’erano pazienti che avevano fatto il richiamo a tempi diversi, chi dopo 4 settimane, chi più tardi. «La sorpresa è arrivata con l’aprire i «codici»: ci si è accorti che più si aspettava per il richiamo, migliore era la risposta immune, proprio come succede per altri vaccini».

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