La blackout challenge, la morte della bimba di Palermo e quella sfida del soffocamento nata prima dei social network
La morte di una minore. Una sfida letale sul web. La formula è già nota. È la stessa alla base delle storie che hanno alimentato il caso Blue Whale, la stessa che ha aperto il caso Johnathan Galindo o ancora il caso Momo. Giovedi 21 gennaio alle 10.53 l’agenzia di stampa Ansa ha diffuso la notizia di una bimba di 10 anni di Palermo ricoverata nel reparto di rianimazione dell’ospedale Giovanni di Cristina. La bimba sarebbe arrivata nella struttura in arresto cardiocircolatorio, una condizione subentrata dopo un’asfissia prolungata. Dalle prime ricostruzioni diffuse dagli agenti di polizia, sembra che la bimba si sia soffocata con una cintura.
Sei ore dopo, con un’altra agenzia, un nuovo aggiornamento. I medici hanno diagnosticato la morte cerebrale della bambina. E intanto gli agenti della polizia che hanno avviato le indagini iniziano a fornire nuovi dettagli. La bambina infatti sarebbe morta a seguito di una sfida trovata sul web, su TikTok nello specifico. Si tratterebbe della blackout challenge, chiamata nei lanci di agenzia anche hanging challenge: la sfida della sospensione. La polizia sequestra lo smartphone usato dalla piccola vittima e intanto compaiono articoli di giornale che puntano il dito sui pericoli del web cercando di raccogliere click da una delle emozioni più primitive dell’uomo: la paura.
Gli hashtag #blackoutchallenge e #hangingchallenge. La responsabilità di TikTok
Come molti altri social, anche TikTok permette di cercare i propri contenuti tramite hashtag. Entrambe le challenge citate dagli inquirenti esistono sulla piattaforma anche se non si tratta certo di istruzioni per il suicidio. La blackout challenge prevede che una situazione venga completamente ribaltata da una schermata nera. Un esempio: una ragazza è seduta a prendere un caffè su un tavolino. Schermata nera. La stessa ragazza sta facendo una verticale sopra la sedia. Dinamiche diverse per la hanging challenge. Questo hashtag raccoglie video di persone che si appendono con le mani a qualche attrezzo, in contesti generalmente legati all’esercizio fisico.
Nessuna cintura quindi. E nessun soffocamento. Almeno per i video più popolari. Il numero di contenuti presenti su questa piattaforma sotto l’hashtag #blackoutchallenge arriva infatti a 21,3 milioni mentre quelli radunati sotto l’hastag #hangingchallenge supera di poco i 4 milioni. Troppi per verificarli tutti. Non è escluso quindi che fra tutti questi video ce ne sia qualcuno che effettivamente parli di corde e cinture per soffocarsi. La piattaforma usa infatti degli algoritmi per evitare che i suoi utenti postino contenuti violenti ma questi algoritmi spesso sono facili da aggirare. Un classico esempio è quello delle parole che indicano genitali maschili e femminili, facilmente aggirate usando delle emoticon o dei numeri al posto delle lettere.
Al momento l’ufficio italiano di TikTok non ha ancora rilasciato commenti sul merito della vicenda. Ha però diffuso una nota per esprimere vicinanza alla famiglia della bambina: «Siamo davanti ad un evento tragico e rivolgiamo le nostre più sincere condoglianze e pensieri di vicinanza alla famiglia e agli amici di questa bambina. La sicurezza della community TikTok è la nostra priorità assoluta, siamo a disposizione delle autorità competenti per collaborare alle loro indagini».
Il caso di Igor Maj, il ragazzo morto a 14 anni con una corda attorno al collo
«Non è pensabile che un ragazzo di 14 anni muoia in conseguenza di un’emulazione in un gioco perverso in chat». Sergio Mattarella, settembre 2018. Sono i giorni in cui le cronache sono dominate dal caso di Igor Maj, un ragazzo di 14 anni trovato morto in casa con una corda attorno al collo. Bravo a scuola, con una fitta rete di amici e una famiglia che lo sosteneva nella sua più grande passione: l’arrampicata. Nessun segno di depressione. Nella cronologia del suo smartphone compare però un video, visto giusto un’ora prima di prendere in mano la corda e improvvisare un nodo per legarsi. Il titolo della clip pubblicata su YouTube è Le 5 challenge più pericolose che i ragazzi fanno.
Questa volta qui c’è davvero la blackout challenge, una sfida che consiste nell’arrivare al limite del soffocamento. Si trova un modo per stringere il collo o comprimere il petto fino a quando cervello comincia ad andare in carenza di ossigeno e si viene inebriati da una sensazione di euforia. L’errore però è credere che questa pratica sia nata con i social network. Nel 2008 il Cdc, Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati, ha pubblicato uno studio che ripercorre il numero di vittime tra il 1995 e il 2007 legate a questa sfida. Sono 82.
In tutti i casi l’età delle vittime è molto bassa, circa 13 anni. E quasi tutte le vittime erano da sole in casa al momento della morte. Se però prima dei social queste sfide circolavano come leggende urbane, magari raccontante all’intervallo dai compagni di scuola più grandi, ora la loro possibilità di diffondersi è sempre più alta. Nonostante i casi di cronaca recente, video come quello che ha convinto Igor Maj a tentare di soffocarsi si trovano ancora sul YouTube, magari mascherati da innocue classifiche di fatti curiosi.
Leggi anche:
- Il Garante per la privacy accusa TikTok: non tutela i minori. Ecco perché
- La storiella tragicomica del tiktoker napoletano sulla signora positiva in giro a far spesa: «Mi denunci? E che sono un’assassina?» – Il video
- Su TikTok due mamme spazzano via i pregiudizi sull’omogenitorialità – Il video
- Coronavirus, l’incredibile video della TikToker con 2 milioni di follower: «Il Covid è stato fatto per sterminarci»
- TikTok ha celebrato il compleanno di Alexandria Ocasio-Cortez con dei tutorial molto speciali – Il video