Venti miliardi di soldi pubblici e monopolio sui vaccini: così Pfizer e Big Pharma fanno profitti in barba a ritardi e multe
Non fare profitto sulla pandemia. Era questo lo scopo dichiarato nel 2020 dall’Organizzazione mondiale della sanità, dall’Unione europea e da qualche casa farmaceutica (AstraZeneca su tutte) che stava lavorando alle cure e ai vaccini anti Covid. C’è voluto poco tempo per capire che le cose sarebbero andate diversamente. L’esempio di Pfizer, che protegge i suoi ritardi dietro uno scudo contrattuale di ferro e continua a guadagnare dalle vendite, è eloquente da molti punti di vista. Il problema dei profitti delle case farmaceutiche non è da poco, perché il guadagno esclusivo delle aziende coinvolte impatta sull’efficacia della distribuzione. Non estendendo la produzione ad altre aziende (per un’azienda farmaceutica, guadagnare significa in primis avere l’esclusiva sui brevetti), la loro capacità di soddisfare la domanda resta limitata. Sui ritardi e sui comportamenti da azienda profit che sta avendo Pfizer, ora i governi stanno minacciando di intervenire per vie legali.
Ma oltre alle difficoltà legate ai contratti – che non prevedono multe automatiche e stabiliscono la deresponsabilizzazione sulle cause avverse – una sanzione pesa molto poco sulle tasche delle multinazionali. Come sottolinea Vittorio Agnoletto, medico e professore di “Globalizzazione e politiche della salute” alla Statale di Milano – nonché ex parlamentare europeo e parte del comitato dell’Iniziativa dei cittadini europei “Nessun profitto sulla pandemia” -, «Big pharma si fa beffe delle multe». Le loro prospettive di guadagno sono «stratosferiche», e le sanzioni estemporanee non le spaventano. Tra il 2016 e 2017, ad esempio, erano state imposte multe da quasi 3 miliardi (2,9) legate a 38 casi di violazioni: solo nel 2017, però, stando ai bilanci delle aziende, le multinazionali avevano incassato in tutto oltre 151 miliardi.
January 25, 2021
Dati secretati e stime sui profitti
L’Unione europea, dunque, ha stilato contratti con le aziende che prevedevano ingenti finanziamenti pubblici e quasi totale carta bianca sulla distribuzione. Parte degli accordi è ancora secretata – su tutti il punto relativo all’ammontare dei soldi pubblici investiti – ma gli indizi parlano di grandi guadagni per le case farmaceutiche già da ora. Secondo Bloomberg, solo tra il 2020 e il 2021, e solo per il vaccino contro il Covid, le aziende di Big pharma si divideranno tra loro 20 miliardi di soldi pubblici (non è chiaro in quali percentuali). Spese che, viste anche le esperienze pregresse, non sembrano andare a coprire unicamente i costi di produzione. Come ricorda il professor Agnoletto, quando Pfizer produsse il fluconazolo, il farmaco impiegato in patologie correlate all’Hiv, la casa farmaceutica ci aveva messo appena un anno a rientrare di tutte le spese di ricerca e produzione. E al tempo non erano entrati in gioco nemmeno tutti i finanziamenti a fondo perduto stanziati questa volta.
Agnoletto – che dal 2004 al 2009 si è occupato di sanità al Parlamento europeo – ricorda inoltre che tutte le grandi aziende farmaceutiche spendono solitamente la maggior parte dei loro soldi in pubblicità e propaganda. Come emerge dai loro bilanci, le spese in questi settori sono maggiori rispetto a quelle destinate allo sviluppo e alla ricerca: «Big pharma è tra i maggiori finanziatori di tutti i candidati presidente negli Stati Uniti e sono tra i maggiori lobbisti presenti nell’Unione europea». Dettaglio che rende poco credibile l’idea che i finanziamenti e le vendite servano appena a coprire i costi di realizzazione e logistica.
Nonostante i ritardi, dunque, le grandi aziende non hanno perso nulla. La loro ricerca è già stata finanziata e grandi quantità di dosi sono già state vendute (solo all’Ue ne sono state accordate 300 milioni +200 in una seconda tranche, e ci si è già accordati per un eventuale +100). Ogni singola dose costa all’Europa oltre 15 dollari, pagamenti che vanno ad aggiungersi ai fondi già stanziati nel contratto. Quante siano nel mondo le dosi vendute è difficile da dire, perché oltre a quelli collettivi esistono anche diversi accordi diretti con ogni singolo Stato. «Quello che sappiamo per certo è che noi abbiamo messo dei soldi per finanziare una ricerca che è stata privatizzata – dice Agnoletto -. Che dobbiamo acquistarli quando li abbiamo già finanziati. E che siamo nelle loro mani per quanto riguarda la scelta di chi privilegiare, in che modo e in quali tempi».
Il problema dei brevetti e gli errori dell’Ue
L’iniziativa “Nessun profitto sulla pandemia” si concentra su un punto fondamentale: le condizioni di esclusività sui brevetti. «La Commissione ha messo soldi al buio puntando su tutti i cavalli in corsa e ha lasciato che il prodotto venisse totalmente privatizzato», spiega Agnoletto. Alla battaglia per il vaccino come bene comune partecipano in Italia diverse associazioni e personalità di spicco – come Gino Strada ed Emergency – oltre a tutti i sindacati di base e confederali.
Il fatto che Pfizer abbia avuto problemi con la produzione non era niente di imprevisto: non avendo esteso la possibilità di produrre il vaccino anche ai singoli Paesi in autonomia, era chiaro che il ritmo sarebbe rallentato presto. Stando all’accordoTRIPs sulla proprietà intellettuale, entrato in vigore nel 1995 e promosso dalla Organizzazione mondiale del commercio (Wto), qualunque azienda farmaceutica che mette sul mercato farmaco o vaccino, ne ha possesso esclusivo per 20 anni. Un totale monopolio che affida nelle mani di poche società la filiera produttiva.
Ma c’è un modo perfettamente legale per aggirare i problemi che ne derivano: nel 2001, grazie anche alle proteste di Nelson Mandela in Sudafrica, viene approvata una dichiarazione nell’ambito degli accordi TRIPs nella quale si dice che, se una nazione è in una condizione di povertà economica e deve far fronte a una pandemia, le è possibile ricorrere a una clausola di salvaguardia chiamata licenza obbligatoria. «Quello che chiediamo con questa iniziativa è che ogni Paese ricorra alla licenza obbligatoria e che la Commissione europea, da sempre contraria, non lo impedisca. E che approvino le richieste di India e Sudafrica in questo senso».
Immagine di copertina: EPA/Lukasz Gagulsk
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