Emergenza migranti nei Balcani, il medico Bartolo: «Spiegateci perché ci avete impedito di vedere oltre il confine» – L’intervista
«Tutto intorno c’era la bufera. Le persone camminavano a piedi scalzi nella neve e si lavavano all’aperto, fuori dalle tende. Se nessuno interviene, queste persone non arriveranno a primavera». Pietro Bartolo è in viaggio nei Balcani da tre giorni. Con tre suoi colleghi del Parlamento europeo – Alessandra Moretti, Pierfrancesco Majorino e Brando Banifei – è partito in missione sulla rotta balcanica per verificare le condizioni di vita di chi prova a chiedere asilo all’Europa passando da Est. Nel tragitto di ritorno dalla Bosnia, Bartolo si tormenta per quello che ha visto negli accampamenti. Ma a disturbarlo è anche quello che non è riuscito a vedere a causa dei blocchi della polizia di confine, in Croazia. Senza apparenti spiegazioni, gli agenti gli hanno sbarrato la strada impedendogli il sopralluogo.
Le violenze nascoste ai confini d’Europa
Oltre a una visita nei principali campi profughi a Sarajevo, Zagabria e Bihac, l’obiettivo della delegazione era quello di testimoniare, in qualità di rappresentanti delle Istituzioni europee, quanto accade ai confini più critici. Che succede tra la Croazia, paese europeo, e la Bosnia, che in Europa ancora non è entrata? Sono veri quei respingimenti illegali, violenti e indiscriminati che vengono documentati da testimoni e giornalisti? «Non appena siamo arrivati al confine croato – racconta il dottor Bartolo – la polizia ci ha sbarrato la strada con atteggiamento arrogante e ostile. Non ci siamo potuti addentrare oltre, nemmeno con gli agenti, ai quali avevamo chiesto di accompagnarci. Non volevamo sconfinare, ma solo controllare quel che accade alla frontiera».
Nemmeno l’intervento della Farnesina e del presidente del Parlamento europeo David Sassoli hanno sbloccato la situazione. I quattro eurodeputati sono arrivati in Bosnia attraversando la frontiera ufficiale, ma i comportamenti degli agenti negli altri punti di confine (quelli dove i migranti tentano la traversata) sono rimasti senza testimoni istituzionali. Lo stop rimane tutt’ora senza una motivazione, ma ora il Governo croato dovrà spiegare all’Ue con quale legittimazione ha bloccato la visita. «Quello che è accaduto è grave», spiega il Bartolo. «Perché a quel confine succedono cose terribili, cose che ci raccontano solo quei pochi che riescono a non morire nel ghiaccio. Chi tenta di attraversarlo viene malmenato, derubato, svestito e mandato indietro».
La situazione nel campo di Lipa, in Bosnia
«In trent’anni di carriera non ho mai visto niente di simile», racconta al telefono, mentre è in viaggio. Dal 1992 al 2018, Bartolo si è occupato di visitare i migranti in arrivo a Lampedusa. Non è nuovo di situazioni critiche: è abituato a vedere in che condizioni arrivano le persone che scappano dai loro Paesi. Eppure, quello che ha visto a Bihac, nella tendopoli di Lipa – allestita 2 settimane fa, dopo l’incendio nel campo profughi – lo ha sconvolto.
Sperdute tra le alture e le distese di neve ci sono 934 persone, tutti uomini, maggiorenni e non. Sono stipati in 30 o 40 dentro tende sprovviste di servizi, senza acqua corrente e riscaldamento. Spesso non hanno scarpe e vestiti adeguati per affrontare le temperature ampiamente sotto lo zero. «Per tre decenni ho visto cose terribili. Ma posso assicurare che a Lampedusa e a Trieste non succede quello che succede qui in Bosnia. Qui è tutt’altra roba. È inaccettabile, disumano. E gli stati membri se ne devono fare carico».
January 31, 2021
L’Europa «è responsabile»
Non appena faranno ritorno dalla missione, assicura Bartolo, chiederanno alla Commissione europea di intervenire sia nei confronti del governo croato, sia per risollevare la situazione dei migranti il più presto possibile. «Tutti gli stati membri sono responsabili – dice – di quelle morti e di quelle violenze che costellano il “gioco” (the game, termine con il quale i migranti chiamano la traversata, ndr) nel tragitto dalla Grecia fino all’Italia».
Come ricorda il medico, l’Europa ha dato circa 90 milioni di euro alla Bosnia per gestire l’emergenza migratoria. Proprio come negli accordi del 2016 con la Turchia, l’intento era quello di disincentivare gli ingressi di massa in Europa, esternalizzando i confini nei Paesi appena limitrofi. Ma dare i soldi non basta, che sia alla guardia costiera libica, alla Bosnia o alla Turchia di Erdogan: «Non è questo il modo di affrontare la migrazione», dice Bartolo. «Non bisogna lasciare che i piccoli Paesi si facciano carico di migliaia di persone ammassandole in campi inadeguati. C’è bisogno che l’Europa inizi a distribuire le persone sul suo territorio. E deve farlo a partire da ora».
Immagine di copertina: ANSA/ANGELO CARCONI
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