Golpe in Myanmar, cosa sta succedendo in Birmania?
Lunedì primo febbraio in Myanmar l’esercito ha preso il controllo del Paese destituendo il governo democraticamente eletto e arrestando tutti i principali leader del partito di maggioranza, tra cui la Premio Nobel Aung San Suu Kyi. Con il golpe si chiude l’esperienza democratica iniziata nel 2011, che ha portato il Myanmar ad indire elezioni libere dopo il lungo periodo di governo militare, cominciato nel 1962. L’ultima tornata elettorale, che risale a novembre 2020, è stata vinta dalla Lega per la Democrazia di Aung San Suu Kyi con l’83% del voto, ma l’esercito non ha voluto accettare il risultato e ha utilizzato accuse di frode elettorale per assumere il controllo del Paese.
Come è avvenuto il colpo di Stato
Il Parlamento si sarebbe infatti dovuto riunire per la prima volta proprio questa settimana per certificare il risultato delle elezioni e già nei giorni precedenti al golpe l’esercito aveva circondato gli edifici del parlamento birmano. Lunedì sono partiti gli arresti che hanno colpito, oltre a Aung San Suu Kyi – ufficialmente “consigliera di Stato” e leader de facto del Paese – e il Presidente U Win Myint, i ministri del governo, i vertici del partito di Suu Kyi , i ministri a capo di varie regioni e diverse figure di spicco dell’opposizione, tra cui numerosi politici, scrittori e attivisti.
Avvalendosi della contestata costituzione del 2008, l’esercito ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale per un anno, annunciandolo pubblicamente attraverso la stazione televisiva militare. Mentre avvenivano gli arresti, le forze armate hanno preso il controllo delle principali infrastrutture del Paese, a partire dall’aeroporto di Yangon, la più grande città del Myanmar. Sono state sospese anche le linee telefoniche e la maggioranza dei canali televisivi nel Paese. Anche internet è stata oscurato in tutte le principali città del Myanmar e l’accesso a Facebook, così ad altri social e servizi di messaggistica, sono stati bloccati per l’intera settimana.
Che fine ha fatto Aung San Suu Kyi
Le accuse formali nei confronti di Aung San Suu Kyi sono arrivate due giorni dopo il suo arresto. Un tribunale aveva autorizzato la sua detenzione per 15 giorni ma, dopo che l’esercito ha perquisito la sua casa, la Premio Nobel è stata accusata di aver importato illegalmente dieci walkie-talkie, un’accusa che, per quanto inverosimile, potrebbe costarle ben 3 anni di carcere. Suu Kyi attualmente si trova agli arresti domiciliari nella sua villa a Naypyidaw, una stato di cose a cui è abituata. Nel 1988, ritornata in Myanmar per occuparsi della madre, finì agli arresti domiciliari per aver partecipato alle proteste contro l’esercito e fu liberata soltanto nel 2010. Il Presidente U Win Myint, invece, è stato arrestato con l’accusa di aver violato le regole sul Coronavirus e rischia anche lui fino a tre anni di carcere.
Chi comanda adesso in Myanmar
Ad aver assunto le redini del Paese è l’attuale capo dell’esercito, il generale Min Aung Hlaing. A 64 anni, il generale, che può far affidamento su una considerevole ricchezza grazie anche al controllo di alcuni settori dell’economia del Paese che solitamente spetta ai vertici dell’esercito in Myanmar, ha costruito parte della sua fama e del suo potere sulla persecuzione di diverse minoranze etniche nel Paese. Non ultima la persecuzione dei musulmani Rohingya, costretti a fuggire in centinaia di migliaia in Bangladesh a partire dall’estate del 2017.
All’epoca Aung San Suu Kyi aveva difeso l’esercito dalle accuse di genocidio, danneggiando la sua credibilità a livello internazionale come paladina dei diritti. Nonostante questo, il rapporto con l’esercito – che grazie alla Costituzione del 2008 controlla tre ministeri chiave e ha diritto al 25% dei seggi in Parlamento, indipendentemente dall’esito delle elezioni – non è mai stato di piena collaborazione. La vittoria a valanga nelle ultime elezioni è stata infatti vissuta dall’esercito come una minaccia al proprio potere e alla propria influenza, in particolar modo dal generale Min Aung Hlaing, che ambiva a diventare presidente.
Quale è stata la reazione della comunità internazionale
All’indomani del golpe il Paese non è stato travolto da un’ondata di proteste di massa, anche se non sono mancati episodi di disobbedienza civile. Migliaia di cittadini infatti hanno manifestato la propria rabbia battendo con pentole e coperchi dai balconi e in alcuni ospedali il personale medico ha smesso di lavorare per protesta. La comunità internazionale – con a capo gli Stati Uniti – hanno condannato con durezza quanto accaduto. Nel suo primo discorso di politica estera, Joe Biden ha dichiarato che «l’esercito birmano deve cedere il potere e rilasciare tutte le persone detenute«, aggiungendo che lavorerà con il Congresso americano per imporre sanzioni.
In un primo momento, secondo quanto è stato riportato dalla Bbc, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Onu) non era riuscito a concordare una dichiarazione congiunta per l’opposizione della Cina, che condivide un confine con il Myanmar ed è uno dei più grandi investitori nel Paese. Il giorno successivo la portavoce della missione di Pechino al Palazzo di Vetro ha negato, dicendo che la Cina «ha partecipato alle discussioni in modo costruttivo» e che Pechino «è sempre dell’opinione che qualsiasi azione del Consiglio di Sicurezza Onu dovrebbe favorire la stabilità politica e sociale in Birmania».
Alla fine, il Consiglio per la Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso «profonda preoccupazione» per l’accaduto, mentre il segretario generale Antonio Guterres ha dichiarato in un’intervista al Washington Post che verrà fatto «tutto il possibile per mobilitare gli attori chiave e la comunità internazionale in modo tale da […] assicurarsi che questo colpo di Stato fallisca».
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