Merkel lo loda, i virologi pure e le regioni italiane lo cercano: perché adesso tutti vogliono il vaccino russo Sputnik V
La benedizione di Berlino è arrivata, Francia e Spagna hanno aperto le porte, Orbàn lo ha già approvato e l’Ue intera aspetta solo un cenno da Ema. Il vaccino russo conquista mezza Europa e stravolge le previsioni scettiche di chi fin dal primo annuncio non lo aveva certo visto di buon occhio. Nome patriottico ispirato al primo satellite artificiale a essere stato mandato in orbita attorno alla Terra, il vaccino anti-Covid Sputnik V inizia a convincere tutti, anche più di Astrazeneca. Un cambiamento di prospettiva piuttosto che ora vede la Russia allargare strategicamente le braccia agli Stati membri con la promessa di elargire 100 milioni di dosi per 50 milioni di vaccinazioni.
L’evoluzione di un’arma sanitaria e politica
Quando lo scorso agosto il presidente russo Vladimir Putin annunciò l’approvazione normativa del vaccino Sputnik V, i commenti degli esperti erano stati a dir poco critici. I motivi erano scientifici ed etici: si stava annunciando la registrazione di un candidato siero anti Covid che non aveva raggiunto ancora neanche la fase 3 di sperimentazione. A esporsi in prima linea anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità: «A volte, ricercatori sostengono di aver scoperto qualcosa, che è un’ottima notizia. Ma tra avere idea di aver messo a punto un vaccino che forse funziona e aver completato il percorso, c’è una grande differenza».
Insieme ai forti scetticismi della scienza, anche le resistenze di carattere diplomatico e geopolitico dei governi di gran parte d’Europa. Le prime valutazioni fatte erano rivolte al rischio di una egemonia russa nella lotta mondiale al virus, con Putin già pronto nell’azione propagandistica di citare la verifica di sicurezza del siero sulla figlia. La sperimentazione annunciata in intesa con Arabia Saudita e Emirati Arabi aveva dato poi il segnale di un ulteriore mira della Russia sul Medio Oriente e di un sempre più controllato piano per ottenere non solo un’arma sanitaria ma anche e soprattutto politica.
Ora le cose sembrano essere sorprendentemente cambiate: Merkel tra tutti è pronta a «stringere accordi sulla produzione e sull’uso», sbandierando la necessità «in tempo di pandemia» di superare le differenze politiche «che pure rimangono ampie». L’esempio più immediato di come l’emergenza vaccini sembri pronta ad unire nello specifico due Paesi diametralmente opposti dal punto di vista diplomatico. In ottica più ampia, l’urgenza di andare avanti con forniture il più possibile efficaci e disponibili tocca non poco anche l’intera Ue. Le dichiarazioni della commissaria alla Salute Stella Kyriakides in proposito sono apparse molto chiare: «Il trattamento di valutazione del vaccino russo dovrà essere esattamente uguale a quello di tutti gli altri».
E l’Italia?
«Fatto con scorciatoie, bisogna stare attenti» diceva il 12 agosto il professore Andrea Crisanti. «Al limite dell’accettabile da un punto di vista etico» aveva dichiarato a seguire il virologo Pregliasco. Uno dei temi più discussi era stato quello della trasparenza, che aveva disegnato l’annuncio di Putin come un semplice quanto pericoloso annuncio giornalistico. A distanza di sei mesi le idee sembrano essere diverse anche per la comunità scientifica italiana. È il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, a parlare di «approccio laico al siero russo» definendo i dati pubblicati da Lancet come «significativamente interessanti». A ruota anche uno dei più forti detrattori di Sputnik: Massimo Galli si dice colpito dai risultati «ben oltre le aspettative».
Sul piano politico l’apertura si fa sempre più totale. Per fronteggiare la grande richiesta di vaccini, e anticipare i tempi di immunizzazione, il Piemonte sta provando a muoversi da solo guardando proprio alla Russia. Il timore dell’amministrazione è quello di arrivare tardi in quanto Paese nella corsa all’accaparramento delle dosi messe a disposizione da Putin.
Non si è lasciata scappare l’occasione anche la vicepresidente e assessora al Welfare di Regione Lombardia, Letizia Moratti, che durante la conferenza Stato-Regioni, ha avanzato al commissario Domenico Arcuri la richiesta di poter valutare l’utilizzo del vaccino prodotto dalla Russia. Le Regioni incalzano il capo della strategia per l’emergenza nazionale Covid a muoversi verso un candidato vaccino a quanto pare sempre più credibile. Ma da dove nasce un tale inversione di rotta? E quanto i criteri su cui si basa saranno sufficienti per un efficace intervento sui piani vaccinali di tutta Europa?
Lancet il faro per l’inversione di rotta
Ad aver sparigliato le carte è stata la rivista The Lancet, una delle voci più autorevoli sui temi della scienza e punto di riferimento per importanti pubblicazioni. Lo studio pubblicato due giorni fa sulla sperimentazione di fase 3 ha riportato una percentuale di efficacia che ha colpito nel segno: il 91,6% di difesa contro il virus, segno di una «robusta risposta immunitaria generata dal siero». Una cifra ben lontana dall’efficacia al 60% garantita da Astrazeneca e che ora tiene col fiato sospeso tutti gli Stati sempre più affamati di vaccini potenti. Ed è questa fame probabilmente la ragione principale della corsa allo Sputnik, con una percentuale di efficacia ad oggi di poco inferiore ai due vaccini attualmente più forti tra quelli autorizzati.
Ad abbassare i toni il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco Magrini: «Capisco la fibrillazione ma non bisogna esprimere solo fantasie». E se si tratti di “fantasie” o meno lo dovrà prima di tutti stabilire l’ente regolatore europeo, secondo gli stessi standard di valutazione finora seguiti per il vaglio dei vaccini già approvati. I dati definiti promettenti devono ancora tradursi in una richiesta ufficiale di autorizzazione a Ema da parte dell’azienda produttrice.
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