La Lega detta condizioni ma non esclude il sì a Draghi. Meloni critica: «Non capisco Salvini, vuole stare al governo con Boldrini?»
È stato il giorno dell’apertura grillina, della mano tesa di Giuseppe Conte al presidente incaricato Mario Draghi e di Forza Italia che completa, benché gli azzurri non vogliano sentir pronunciare quel nome, il quadro della cosiddetta maggioranza Ursula. Nicola Zingaretti sigilla la nascita di un’alleanza strutturale con Movimento 5 stelle e Liberi e uguali. Un Luigi Di Maio animato da tanto spirito istituzionale, poi, non si era mai visto: «È proprio in queste precise circostanze che una forza politica si mostra matura agli occhi del Paese». E invece, a fine giornata, è arrivata la Lega a scompaginare il confine del sempre più probabile Draghi uno.
Giancarlo Giorgetti è stato il primo a far capire che i leghisti non si sarebbero sfilati dalla partita, appiattendosi sulla posizione di Giorgia Meloni. In serata, all’Agi, ha chiarito la posizione leghista: «L’astensione è stata esclusa: o saremo a favore o voteremo contro». Con i moderati della coalizione, tra cui Forza Italia, che avevano già manifestato la disponibilità ad accordare a Draghi la propria fiducia, Fratelli d’Italia è rimasto il solo partito a opporsi all’iniziativa del presidente incaricato.
Il centrodestra al bivio
Il vicesegretario del Carroccio ha addirittura anticipato Matteo Salvini nel delineare i margini di un’eventuale fiducia: deve esserci coerenza con i valori della Lega, «lotta alla burocrazia, giustizia giusta, fisco meno oppressivo, controllo dell’immigrazione». Per quanto riguarda la composizione, Giorgetti ha dichiarato che il nuovo governo non dovrà essere «una fotocopia del governo precedente». A stretto giro, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, spiazzata, è dovuta intervenire sulla questione: «Noi abbiamo sempre lavorato per la compattezza del centrodestra e sono molto contenta del lavoro fatto fin qui. Penso che il centrodestra sopravviverà a mille intemperie».
Le intemperie sono subito dette: «So che Fratelli d’Italia non ha le difficoltà interne che altri partiti hanno, ma non capisco la posizione di Salvini quando dice “Draghi scelga tra Lega e Grillo”. Perché, il Pd va bene? Boldrini va bene? Glielo chiederò quando lo sentirò». E il leader del Carroccio, che poco tempo fa invocava il ritorno alle urne, è intervenuto spiegando il dietrofront: «Se dovessi fare l’interesse di partito, starei fuori, direi “no” a prescindere aspettando che gli italiani tornino a votare per poi dire “ve l’avevo detto”. Invece ci mettiamo in gioco a patto che ci sia una idea di Italia condivisa».
Poi, Salvini ha fatto il consueto elenco dei temi cari al suo elettorato: entrerà nel governo solo dopo aver parlato con Draghi «di vita reale, di pensioni, di cartelle esattoriali, di flat tax. Per noi essere al governo non è un fine ma un mezzo per realizzare progetti: non poniamo condizioni, pregiudizi o veti, ma se oggi Grillo dice che vuole la patrimoniale io non posso stare insieme a chi vuole tassare i risparmi degli italiani. Sarà Draghi a scegliere».
I paletti di Salvini
Dopo l’apparizione sulla Rai, Salvini ha parlato anche su Rete 4 aggiungendo altri punti all’elenco: «Crescita economica, controllo dei confini, piano vaccinale serio, non come quello di Conte e Arcuri noi ci saremo». Poi, rispondendo a distanza a Meloni, ha aggiunto: «Se invece ci fosse un’ipotesi di una Fornero o di una Boldrini al governo e sui temi delicati come pensioni e immigrazione, è evidente che non sto al governo per scaldare una poltrona».
Le scelte di Draghi
Mentre si sono delineate anche le posizioni degli ultimi partiti che mancavano all’elenco, resta da capire cosa deciderà di fare Draghi di fronte a un parlamento tutto propenso a seguirlo, ad eccezione di Fratelli d’Italia. Si parlerà di temi, certo, ma è chiaro che alcune anime non riuscirebbero a convivere nello stesso esecutivo: Leu e Pd, l’hanno già dichiarato, non siederanno mai allo stesso tavolo di maggioranza della Lega – anche se “mai dire mai”, in politica. Allora Draghi dovrà scegliere: escludere dall’esecutivo qualche forza politica, nonostante la dichiarata disponibilità, oppure lasciare che i partiti, il giorno della fiducia, scoprano definitivamente le carte sul futuro della legislatura?
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