Bebo, l’anima politica de Lo Stato Sociale: «Il problema non sono i nostri padri, ma i fratelli maggiori. Come Salvini e Renzi» – La video intervista
Lo sfondo con il golfo di Napoli illuminato dal sole farebbe pensare a Una vita in vacanza. «Perché lo fai? Perché non te ne vai?», chiedeva a gran voce Lo Stato Sociale dal palco di Sanremo 2018. Una domanda orizzontale, non necessariamente rivolta solo a un pubblico loro coetaneo, ma a un intero tessuto sociale. Di certo, quando quel brano è stato scritto, «ci aspettavamo qualcosa di diverso», diceva Lodo Guenzi durante l’esibizione in una Piazza Maggiore deserta, nel pieno del primo lockdown, durante il Concerto del 1° maggio 2020. La voglia di tornare a esser scanzonati e irriverenti è «una via apparentemente impraticabile, ma non impossibile. Anzi», dice Alberto “Bebo” Guidetti, l’anima più politica de Lo Stato Sociale.
«Serve prima l’analisi individuale, per poter continuare a restare uniti», spiega. E i cinque di Bologna lo sanno bene. Tant’è che han deciso di non curarsi dei modelli discografici che al momento «funzionano»: sfornare un ennesimo singolo “raccogliticcio” non fa per loro. «Anche quando abbiamo esordito con Turisti della democrazia, ci dicevano che funzionavano certe cose – ricorda Bebo -. Noi ce ne siamo lavati le mani». E anche questa volta hanno deciso di non seguire i consigli, decidendo invece di “scindersi” in 5 album, uno per ogni membro del gruppo. Ciascun Ep contiene 5 brani, mostrando quelle che sono le «correnti interne» che costituiscono quella sintesi nota al pubblico come Lo Stato Sociale.
«Come si fa ad aver nostalgia di una normalità passata che non funzionava?»
E in un momento di crisi politica a fare da apripista a questa cinquina è stato proprio Bebo. Nel suo album non c’è nostalgia del passato. «Ma come si fa ad aver nostalgia di una normalità passata che non funzionava?», chiede Alberto. Di fronte alla voglia di tornare alla vecchia normalità, è invece ora della Fuga dall’aperitivo. «Ho percepito che non ero l’unico a essermi un po’ rotto di come funzionava la normalità precedente», dice Bebo. E prima di tornare a immergersi nel mondo, durante lo stand-by imposto dal lockdown, era arrivato il «tempo di convogliare le forze per riappropriarsi degli ideali, dei valori e dei desideri che mi appassionano e costituiscono, prima ancora di pensarli come canzoni».
In Fantastico! (che è anche il nome di una rivista trimestrale, una newsletter, un podcast, una serie di incontri, una creatura multiforme che Bebo ha fondato e segue da editore) riesce a raccogliere quel senso di incertezza e disillusione generazionale. «Io sono la persona meno specialista del mondo. Ho fatto l’istituto tecnico, ho fatto due anni di università e poi l’ho lasciata, quindi al massimo so parlare della vita di tutti i giorni». In qualsiasi caso, «raccontare una storia che rappresenta me che ho dubbi su come stare al mondo sul lungomare di Fiumicino, che è un lungomare tremendo, brutto, ignorante, è diventato un messaggio universale proprio perché evidentemente siamo in tanti a farci certe domande».
La generazione abbandonata da fratelli e sorelle maggiori
«Sarà responsabilità dei padri?», gli chiediamo. Bebo scuote la testa e procede come un fiume in piena. «Il mio grosso problema non è tanto con i miei padri: il mio problema è con i miei fratelli maggiori. Io odio Salvini, che potrebbe essere un mio fratello maggiore, così come Renzi, così come la classe politica delle Maria Elena Boschi del caso, senza risparmiare neanche una certa sinistra in continua scissione. Sono persone che assolutamente non mi rappresentano, e hanno 10 o 15 anni in più di me e sono veramente i miei fratelli e le mie sorelle maggiori, oltre a essere le persone più deleterie che io possa immaginare. Certo, non vale per tutti, ma per molti sì. Invece la generazione dei nostri padri, per quanto magari facciano fatica a capire come funziona WhatsApp con i loro “ditoni” sullo schermo, resta una generazione che accetta l’idea che a un certo punto succede qualcosa che cambia, rivoluzionando, il modo di vivere. Loro l’hanno visto, l’hanno fatto alle volte, o comunque l’hanno subito».
«La generazione dei nostri fratelli maggiori non è stata capace di rimettere in moto la macchina quando c’era bisogno di farlo. Anche perché il mondo, ogni tot anni, smette di funzionare in maniera congrua. E questo impigrimento intellettuale della generazione attorno ai 50 lo paghiamo carissimo. Ma la cosa che loro non sanno è che l’esser giovani è una questione di utilizzo della testa, non è una questione anagrafica. Ci sono dei grandi giovani tra i vecchi, così come ci sono grandi vecchi tra i giovani. Però la cosa che si scordano sempre è che a un certo momento, la marea, deve ripulirla sta spiaggia. E io spero, tra 10 anni, che arrivi qualcuno che fa Lo Stato Sociale molto meglio de Lo Stato Sociale», dice Alberto. «E io dico: “Bella regaz, son stanco e vaffanculo: mi ritiro”, cioè lasciare veramente lo spazio. Io voglio essere travolto da chi è più giovane di me».
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