Licenziamento per chi trascorre le ferie all’estero e al rientro va in quarantena precauzionale
Licenziamento per un dipendente che va in ferie all’estero e al rientro non può tornare al lavoro perché deve svolgere un periodo precauzionale di quarantena obbligatoria (quella prevista per tutte le persone in arrivo da alcuni paesi stranieri) anche in assenza di contagio da Covid: questo periodo va qualificato come assenza ingiustificata.
Con questa decisione, certamente molto forte, una recente ordinanza del Tribunale di Trento ha scatenato un’accesa polemica, non solo tra gli esperti del diritto. Molte persone sui social media hanno gridato allo scandalo, criticando aspramente la decisione: è stato sostenuto che questa pronuncia violerebbe il diritto alle ferie, che sarebbe una forma di indebita intromissione nella vita personale del dipendente o addirittura che sarebbe l’ennesima prova della dittatura sanitaria imperante.
L’obbligo di quarantena non è un imprevisto
Critiche molto affascinanti sul piano del consenso, ma destinate a cedere il passo di fronte a un aspetto messo a fuoco molto bene dal Tribunale di Trento: la lavoratrice che era andata a godersi le ferie all’estero (precisamente, in Albania) era perfettamente cosciente (o comunque doveva esserlo, trattandosi di un fatto notorio) che la sua scelta di prendere un aereo per un paese straniero avrebbe generato l’obbligo, al rientro, di restare 14 giorni a casa.
Al momento della partenza era prevista la quarantena fiduciaria per tutte le persone che tornavano da un paese straniero, e quindi la dipendente già sapeva che, al suo ritorno, non avrebbe potuto riprendere l’attività alla data concordata con il datore di lavoro. L’obbligo di restare per 14 giorni in quarantena non era, quindi, un imprevisto sanitario caduto dal cielo, ma piuttosto la naturale e consapevole conseguenza di una scelta compiuta dalla lavoratrice. Perché mai il datore di lavoro avrebbe dovuto tollerare questa condotta che, di fatto, allungava le ferie, senza alcuna condivisione preventiva, di altre due settimane?
Nessuna limitazione del diritto alle ferie
Questo è il punto centrale della vicenda, che il Tribunale affronta con coraggio (e che i tanti critici della decisione non hanno messo a fuoco). Non c’entra nulla la limitazione del diritto alle ferie: la dipendente, come ogni altro cittadino che ha dovuto convivere in questo ultimo anno con le numerose e pesanti restrizioni imposte dalle precauzioni sanitarie, avrebbe dovuto esercitare il proprio diritto con un atteggiamento più accorto, evitando di mettersi in condizione di non poter riprendere il lavoro alla data prevista.
Certamente, questa scelta avrebbe comportato un sacrificio, quello di scegliere un luogo di svolgimento delle ferie tra quelli che non generavano obblighi e limitazioni al rientro: questo sacrificio, lo ricorda bene il Tribunale di Trento, sarebbe stato molto più leggero rispetto alle pesanti limitazioni della libertà di movimento personale e del godimento di alcuni diritti civili che ha dovuto subito l’intera popolazione in questo ultimo anno. Con questa coraggiosa presa di posizione il Tribunale di Trento manda un messaggio molto importante: in una situazione d’emergenza, tutti sono chiamati ad adottare comportamenti seri e responsabili, invece di compiere scelte opportunistiche e furbe, magari formalmente lecite ma inopportune. Un dovere di serietà che deve ricadere su tutte le parti del rapporto di lavoro.
Come le imprese devono sostenere costi aggiuntivi e organizzativi importanti per tutelare la salute dei propri dipendenti, anche a scapito dell’efficienza produttiva, così i dipendenti devono adottare comportamenti responsabili e adeguati rispetto alla situazione di emergenza: fare le vacanze all’estero, già sapendo che al rientro non si potrà tornare al lavoro per altri 14 giorni, è una scelta che difficilmente rientra nel concetto di responsabilità e adeguatezza.
Immagine copertina di Giorgio Grani su Unsplash
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