Recovery, reddito, imprese: la politica economica di Mario Draghi deciderà la composizione del governo
Quando il presidente Sergio Mattarella ha dato l’incarico a Mario Draghi, tutti hanno capito che il momento (atteso, temuto, sperato) era arrivato: l’Italia ha deciso di giocarsi l’ultima carta possibile per non scivolare oltre il punto di non ritorno di un declino economico e politico iniziato con la crisi finanziaria del 2007-2008. Con la convocazione dell’ex-presidente della Bce, l’Italia sembra pronta a uscire dall’avvitamento politico per tornare sulla scena internazionale con il massimo della credibilità possibile.
La geografia della politica italiana costituitasi dopo il governo Monti è saltata ma anche se per ora l’apparenza è salva nel prossimo futuro molte cose cambieranno. Nel giro di pochi giorni Matteo Salvini è diventato europeista, dichiarandosi disponibile alla massima cooperazione e offrendo ministri leghisti per il governo dell’uomo che ha salvato l’euro. La stagione del Basta Euro tour è archiviata, per sempre. La stessa cosa è successa al M5S, con Beppe Grillo e Luigi di Maio pronti a dare l’appoggio, pur insistendo che ci vuole un governo politico e non tecnico come quello di Mario Monti. Anche in questo caso, è un modo per chiedere incarichi di governo all’uomo che ai tempi dello Tsunami Tour veniva insultato nelle piazze.
Tutti i partiti del Presidente
L’appoggio incondizionato con disponibilità a entrare nella squadra di governo è arrivato anche da parte del PD, FI, IV e praticamente tutti gli altri tranne Giorgia Meloni. Nel giro di 24 ore Draghi è passato dall’avere pochi partiti disposti a sostenerlo ad averne troppi, e qui iniziano i problemi. Il presidente Mattarella aveva chiesto un governo di alto profilo, che non avesse bisogno di identificarsi con alcuna formula politica, invece sembra che Draghi dovrà riuscire a comporre la miglior squadra di governo possibile attingendo alle risorse dei partiti che fino a pochi giorni fa erano paralizzati da scismi ideologici, incompetenza e un ostentato disprezzo reciproco. Risolvere il rebus del governo tra nemici non sarà facile.
Durante i colloqui con i leader, il premier incaricato ha parlato di debito buono e debito cattivo, di investimenti, programmi per la crescita, politiche sociali. Tutto ovviamente all’insegna dei famosi 209 miliardi di euro del Next Generation EU. A differenza di Mario Monti infatti, Draghi è chiamato ad amministrare una fase caratterizzata dalle politiche espansive del post-pandemia attingendo alle risorse straordinarie del Recovery Plan.
Probabilmente il suo programma potrà salvare l’essenza del Reddito di cittadinanza – indispensabile per il M5S, gradito al PD – trasformandolo in un sistema di sussidi di disoccupazione attiva, simile a quello del Piano Hartz tedesco (cosa che piacerebbe anche al mondo delle imprese). Potrà anche soddisfare le richieste della Lega e Forza Italia con un pacchetto di supporto finanziario e sgravi fiscali alle imprese (forse addirittura con un condono), mentre è più difficile immaginare di fare il bis con i pensionamenti anticipati di Quota 100. Poi tante infrastrutture, e politiche sostenibili.
Il problema però è che le politiche espansive possono essere divisive tanto quanto quelle di austerità. In teoria sono tutti d’accordo che c’è bisogno di più crescita, meno tasse, più infrastrutture, politiche per l’occupazione e tutele sociali. Se ci fosse un solo modo per applicarle, non esisterebbe un dibattito sulla politica economica dei governi. Ma quando si tratta di scegliere come, dove e quante risorse allocare per ogni cosa, diventa tutta un’altra storia. Qui Draghi dovrà riuscire letteralmente a far convivere il diavolo e l’acqua santa, e con meno abbondanza di quanto si pensi.
Tutti i numeri del Recovery Plan
Facciamo due conti. Per l’Italia il Recovery Plan prevede circa 80 miliardi di euro in sovvenzioni e 120 miliardi in prestiti. Per farsi un’idea della dimensione di queste cifre, consideriamo che in Italia il fatturato annuo della sola industria del turismo è di circa 232 miliardi, il 13,2% del Pil e il 15% degli occupati (dati 2018). Nel corso di un’audizione alla Camera, gli operatori del settore hanno spiegato che il crollo delle presenze nel 2020 ha prodotto una perdita di valore della produzione di 100 miliardi di euro. Perciò, se a causa della campagna vaccinale che procede a rilento l’Unione europea vivesse un’altra stagione di vacanze primavera-estate con le limitazioni dell’anno scorso, per l’Italia la perdita avrebbe un effetto pari a mezzo Recovery Plan.
Inoltre, per funzionare il Recovery Plan dovrà essere accompagnato da riforme economiche di ogni tipo. Riforme strutturali, divisive, complesse, da attuare con la competenza necessaria a evitare incidenti giuridici e costituzionali. Cose difficili da realizzare nel pieno di una crisi, specialmente se sei a capo di un governo che deve mettere Berlusconi, Salvini, Renzi, Di Maio e Zingaretti e altri ancora tutti insieme nella stessa stanza (e forse non solo metaforicamente). Se poi aggiungiamo che il Recovery Plan prevede un’esecuzione pluriennale – fino al 2026 – con controlli semestrali della Commissione europea, e che Draghi resterà a Palazzo Chigi al massimo fino al 2023, stiamo parlando di una missione ai limiti dell’impossibile.
Se il governo Draghi riuscirà nell’impresa di mettere l’Italia sulla strada della crescita e della produttività, a quel punto, oltre ad aver salvato il Bel Paese avrà anche risolto la maggior parte dei problemi dell’eurozona. Il successo o meno del Recovery Plan italiano infatti avrà implicazioni dirette sul futuro del progetto europeo, creando le condizioni per estendere la mutualizzazione del debito a quello già esistente: una rivoluzione. Chi ha lavorato con Draghi nel direttivo della Bce ha detto che quando deve portare avanti le sue idee, l’italiano è come un bulldozer. Mettere insieme i partiti italiani però sarà molto più ostico che lavorare come leader di un gruppo selezionato tra i migliori economisti dell’eurozona.
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