La visita di Borrell a Mosca è stata un fallimento. Ma non è tutta sua la colpa
Continua il periodo nero della Commissione europea. Dopo le vicende sull’acquisto dei vaccini che hanno visto protagonista la presidente Ursula von der Leyen, a finire sul banco degli imputati è lo spagnolo Josep Borrell, l’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue. Josep Borrell è accusato di aver consegnato alla propaganda del Cremlino una vittoria e di aver inavvertitamente minato la figura di Alexei Navalny, pur cercando di sollevare preoccupazioni sull’incarcerazione dell’attivista. La notizia dell’espulsione dalla Russia dei diplomatici di Germania, Polonia e Svezia “colpevoli” di aver partecipato alle manifestazioni pro-Navalny – appresa da Borrell sui social media subito dopo l’incontro con il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov – ha coronato quello che l’eurodeputato estone del Ppe, Riho Terras, ha definito un tentativo «umiliante» di «resettare» le relazioni Ue-Russia. Un tentativo che per Terras non andava fatto. Terras ha scritto una lettera, a titolo personale, in cui chiede a von der Leyen di intervenire qualora Borrell non si dimetta di propria iniziativa. La lettera, secondo quanto si apprende da Bruxelles, è stata firmata in queste ore anche da altri eurodeputati (più di 70) ma non sarebbe stata ancora spedita. Von der Leyen ha espresso il suo sostegno a Borrell, ma lo scandalo non è destinato a spegnersi a breve. La missione dell’Alto rappresentante piomba all’attenzione del Parlamento europeo in vista dell’audizione in plenaria, prevista per oggi pomeriggio. Oltre che in plenaria, oggi Borrell dovrà presentare la relazione sul viaggio a Mosca anche al collegio dei commissari, e al Consiglio degli affari esteri in agenda per il 22 febbraio. Sarà in queste sedi che si discuteranno tutte le implicazioni, e le conseguenze per lui.
Oltre gli errori di Borrell
Pur prendendo atto degli sbagli di Borrell, la vicenda che vede protagonista lo spagnolo richiede una riflessione che va ben oltre la persona. L’accaduto rappresenta un fallimento delle potenze europee come Francia e Germania, incapaci di sviluppare un approccio coerente e condiviso nelle relazioni con la Russia. In teoria, a occuparsi della politica estera dell’Ue è il cosiddetto Servizio di azione esterna, in inglese European External Action Service (EEAS), ma l’Ue non è uno Stato continentale dotato degli strumenti politici per identificare e perseguire una strategia. Chi decide quali sono gli interessi dell’Ue? Ciò che è prioritario per la Francia spesso non lo è per la Germania. Per la Polonia e i Paesi baltici la Russia è una potenza storicamente nemica, l’Italia e la Spagna hanno una percezione assai diversa. I ministri degli esteri degli Stati membri si riuniranno a febbraio e a marzo per discutere dei rapporti con Mosca, ma non potranno trovare un equilibrio tra conflitto politico, interessi distanti e legami economici cruciali come la dipendenza tedesca e di altri Paesi europei dal gas russo.
Mettere un freno al divide et impera
Mosca ha deciso da tempo che è nel suo interesse trattare direttamente con gli Stati membri piuttosto che con l’Ue all’insegna di un divide et impera che solo l’Unione può fermare imponendo una scelta diversa (come ha fatto con il Brexit deal, per esempio). Perciò non deve sorprendere che la visita di Borrell a Mosca sia andata così male. Non andare sarebbe servito almeno a evitare di assistere al disprezzo di Lavrov per le istituzioni comunitarie, come quando ha detto in pubblico, davanti a Borrell, che l’Ue è un partner «inaffidabile».
February 5, 2021
Quando si entra nel campo della politica estera, l’Ue può fare bella figura solo se gli interlocutori glielo permettono. Non bisogna andare troppo indietro con il tempo per ricordare la storia dell’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA). Il patto raggiunto nel 2015 tra Iran, Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti, Germania e l’Ue consegnava all’Alto rappresentante dell’epoca – l’italiana Federica Mogherini – un forte ruolo di leadership. Tutte le promesse di quel patto tra potenze si spensero bruscamente con l’arrivo sulla scena di Donald Trump, che nel 2018 affossò l’accordo portando fuori gli Stati Uniti, l’unico vero garante.
L’Ue non è mai riuscita a tenere in piedi il patto, pur provandoci, almeno a parole. Adesso che alla Casa Bianca è arrivato Joe Biden, il destino del JCPOA dipende dalla sua amministrazione, ma il nuovo presidente ha già mostrato di guardare all’Europa partendo da Regno Unito, Francia e Germania: non dall’Ue, non dall’Alto rappresentante. Al di là di eventuali dimissioni di Borrell, è importante che l’accaduto apra una riflessione in tutta l’Unione. L’Alto rappresentante della politica estera europea ha scoperto che non è possibile sollevare con i russi questioni relative ai diritti umani senza innescare una risposta ostile, nemmeno in una semplice conversazione (al di fuori dei tavoli negoziali) tra alti funzionari. Lo stesso vale per i colloqui con i funzionari cinesi, e con i turchi, o egiziani. La visita di Borrell non aveva nessuna possibilità di cambiare le relazioni con la Russia, è fallita perché non poteva riuscire. Chissà se almeno sarà un promemoria che ricorda ai governi degli Stati membri cosa è necessario fare.
In copertina: Lavrov e Borrell
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