Vaccini anti Covid, Draghi pensa al modello inglese. Galli: «Una sola dose per tutti? Facilita le varianti» – L’intervista
Da una parte, l’ordinanza del Ministero della Salute che raccomanda la seconda somministrazione del vaccino di AstraZeneca dopo almeno 10 settimane dalla prima. Dall’altra, l’indiscrezione trapelata durante le consultazioni, che vorrebbe Mario Draghi proiettato su un modello inglese per la campagna vaccinale contro il Coronavirus – quello, cioè, che punta a fornire a più persone possibili la prima dose, anche col rischio di dover rimandare il richiamo. I ritardi delle case farmaceutiche e il rallentamento delle forniture europee aumentano il pericolo di allargare la forbice temporale tra una somministrazione e l’altra. E potrebbe non essere una buona idea.
Secondo il professor Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie infettive al Sacco di Milano, si tratta di una prospettiva per nulla auspicabile. «Non posso che esprimermi in maniera non favorevole all’ipotesi di puntare principalmente sulla prima dose», sottolinea l’infettivologo. Anche nel caso del Regno Unito – in testa per numero di persone a cui è stata fatta almeno una dose – mancano evidenti prove scientifiche a sostegno del fatto che un approccio del genere aiuti a ridurre in maniera significativa la possibile risposta al Sars-Cov-2.
«Non ci sono studi che dimostrino cosa può succedere dopo una prima vaccinazione di massa», spiega Galli. «Quando e se gli inglesi ci manderanno dati sufficienti a dimostrare che esiste un numero importante di persone rimaste esenti dalla malattia nonostante abbiano ricevuto una sola somministrazione – aggiunge – allora potremmo considerarla efficace».
Il rischio di una nuova variante
Secondo il professore, aumentare la distanza tra le due dosi «per necessità di distribuzione» potrebbe addirittura comportare dei «rischi». «I vaccinati a metà – dice Galli – potrebbero facilitare la comparsa di un’ulteriore variante». Come spiega il professor Galli, un soggetto non completamente immunizzato corre il pericolo di essere infettato con «una specifica frequenza» e di «esprimere nei confronti del virus una pressione selettiva che, se da una parte non è sufficiente a eliminare l’infezione, dall’altra potrebbe contribuire al sorgere di un’ulteriore mutazione del virus».
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