Il documentario su Britney Spears visto dai fan italiani: «Distrutta dai media, riscriviamo la sua storia»
«Vorremmo saperne di più sulla storia della tua verginità». Nei primi anni 2000 la domanda era d’obbligo, se di nome facevi Britney Spears. Un cerchio di fuoco che dovevi riuscire a saltare, con la dovuta grazia, a ogni conferenza stampa, durante le interviste con i giornalisti. La conversazione poteva farsi anche più insidiosa, e allora la domanda successiva era: «Parlaci del tuo seno, alcuni dicono sia rifatto». Su questo filo, quello della strumentalizzazione ai fini mediatici, corre il nuovo documentario Framing Britney Spears, prodotto dal New York Times, che ha debuttato qualche giorno fa in streaming sulla piattaforma Hulu. Sulla scena, la ragazzetta prodigio dei primi successi pop, ai tempi di Baby One More Time e Oops I did it again, e i media che ne spolpano, fino all’osso, ogni aspetto della carriera, ma anche dell’intimità.
La ragazza cresce, e per le televisioni è una specie di Lolita che simula movenze erotiche sul palco e nei videoclip che fanno il giro del mondo. Come racconta Variety, è un burattino. Qualche anno più tardi l’eccesso di curiosità della stampa si spingerà talmente oltre che a un certo punto la cantante sarà chiamata anche rispondere alla domanda: «Sei una pessima madre, Britney?». Come cantava in un suo brano del 2007 – You want a piece of me? -, tutti vogliono un pezzo di lei.
La vicenda si incontra e si scontra, nella stessa pellicola, con quella della conservatorship – che ha dato vita al movimento #FreeBritney e che ha ispirato il lavoro del Nyt-, la tutela legale cui è sottoposta dal 2008 per mano del padre, dopo il tristemente famoso breakdown, l’esaurimento nervoso che l’aveva spinta verso il ricovero coatto in una clinica psichiatrica. Da 13 anni Britney non ha il diritto di andare a fare la spesa da sola, di votare, di vedere gli amici. Ma, più di ogni cosa, Jamie Spears – il padre -, controlla le sue finanze. Tuttavia, qualche tempo fa la Spears ha preso una posizione forte, rifiutandosi di esibirsi finché suo padre avrà il controllo della sua vita.
Il filmato ha raccolto, per la prima volta tutte insieme, le testimonianze di persone a lei vicine come ex collaboratori, ballerini e i suoi avvocati. Grande assente, invece, la famiglia. E il padre, l’uomo che, prima di tutti, aveva intravisto in quella giovane donna una possibilità per sbarcare il lunario una volta per tutte.
Il dibattito è aperto, anche su Clubhouse
Il dibattito sul documentario è vivace da giorni, ormai. E ha rimesso in gioco diversi temi come quello della salute mentale, della strumentalizzazione delle celebrità a causa dell’intrusione dei media. A guidare le discussioni, sono i fanclub, gli ammiratori più accaniti, quelli della prima ora, che seguono Spears anche da 15-20 anni. Come Riccardo, che ha inaugurato una room su Clubhouse – cui hanno partecipato circa 400 persone – per trascorrere una serata a parlare della cantante.
«L’aspetto condiviso da chi era presente al dibattito è che, se sei una donna, in queste dinamiche ci rimetti», spiega. «La narrazione che viene fatta di tutta la vicenda, secondo me, è da apprezzare: per la prima volta vengono messi sul piatto due elementi finora trascurati: che rapporto c’è tra i media e la reputazione delle star? Ma soprattutto: dove inizia e dove finisce il lavoro del giornalista?». Per Riccardo, il punto è anche un altro: «Quando si tratta di personaggi famosi, si tende a spersonalizzare: crediamo che tutto quanto li riguardi, sia una specie di fiction, di realtà inventata. Di conseguenza abbiamo dato per scontato che Britney abbia dato la sua privacy in mano alla famiglia, agli agenti, in cambio del mestiere, del prestigio e del potere mediatico di cui godeva».
Perché tutto questo? «Per mancanza di sensibilità nei confronti della sua figura. Se ne è sempre parlato con troppa leggerezza. La cosa più grave è che si è spettacolarizzato un disturbo mentale – “Cosa ha perso Britney? I capelli!” risponde una concorrente in un quiz alla tv statunitense, all’epoca del breakdown. “La brocca!”, risponde l’altra. Ora sono passati 15 anni, forse è il caso di ripensare a quanto è stato detto e fatto. La situazione era raccapricciante».
A lasciare interdetto il pubblico, poi, la relazione con il cantante Justin Timberlake, avuta quando Spears era giovanissima. Quando si lasciano, per i giornali e le tv è lei la colpevole: «L’ha tradito!»; «Cosa hai fatto a Justin per farlo soffrire così?», le chiedono. Ma lei, troppo giovane e imbarazzata, non sa cosa dire. A minare il rapporto coi media ci pensa anche lui con il videoclip di Cry me a river. «Rivederlo con l’occhio adulto, ma soprattutto con gli occhi di uomo che vive nel 2021, quel video musicale è quanto di più tossico possa esistere. Lui che assume evidentemente gli atteggiamenti di uno stalker, le entra in casa, la segue…è l’esatto opposto di quello che vorremmo vedere oggi». Purtroppo Timberlake rimane uno dei soggetti non pervenuti nella pellicola.
«Le hanno appioppato un’immagine che non c’entrava nulla con la vera Britney», racconta Duccio Maldera, membro della fanbase più sfegatata. «Pensiamo solo all’album Blackout, pubblicato nel 2007, mentre lottava contro un esaurimento nervoso e tutto quello che ne è conseguito. Lei è stata produttrice esecutiva di quel disco, e la sua musica ha avuto un’influenza tale che si è classificata al terzo posto nel sondaggio Billboard tra gli album più influenti del decennio. Tanto le hanno fatto credere di essere quella che non era, che alla fine lei, inconsciamente, lo ha accettato».
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