Coronavirus, la variante «inglese» spaventa la Lombardia ma dalla Regione nessun piano speciale: «Andiamo avanti normalmente»
Risucchiati dalla campagna vaccinale, quasi ci si dimenticava della minaccia varianti Covid. Per settimane i rischi legati agli invasori – così le ha definite il quotidiano francese Liberation in una copertina – sono stati messi da parte nei dibattiti, più per speranza che per disinteresse. Ora, con un caso su 5 in Italia dovuto a quella «inglese», la questione non può più essere lasciata alla porta. Chi dovrà farne i conti al più presto è la Lombardia, la regione più colpita dal Coronavirus, che nel giro di qualche giorno ha registrato oltre 130 casi positivi alla variante che sarebbe partita dal Regno Unito, alcuni dei quali nelle scuole primarie di Bollate. Ma un cambio di passo non sembra essere tra le priorità della giunta, che approfitta anzi della zona gialla e guarda con ottimismo alle riaperture degli impianti sciistici il prossimo 15 febbraio.
I numeri in Lombardia e l’importanza di agire in anticipo
Come comunicato dalla stessa Regione, le varianti del Covid-19 sono a oggi presenti in Lombardia nel 30% dei tamponi positivi e potrebbero arrivare nelle prossime settimane al 60/80%. Finora, al 99% dei casi si tratta di variante «inglese», che è stata registrata in varie aree come la provincia milanese, bresciana, mantovana e cremonese. Solo a Corzano, in provincia di Brescia, il 10% dei 1.400 abitanti è risultato positivo. Pur non essendo resistente ai vaccini o più pericolosa della “classica”, questa mutazione del Sars-Cov-2 non è un problema che va preso sottogamba.
Soprattutto se, come nel caso di quella «inglese», si diffonde come pare fino al 70% più velocemente. Come dimostra il caso dell’Umbria e dell’Ospedale di Perugia, un’impennata inattesa di positivi provocata dall’effetto a catena (accelerato) dei contagi, piò mandare in crisi un territorio nel giro di poco tempo. E la Lombardia non può permettersi di farsi cogliere impreparata per la terza volta in 12 mesi.
Nessuna strategia alternativa
Stando a quanto appreso da Open dall’assessorato al Welfare (gestito da Letizia Moratti), però, non ci sarebbe nessun piano speciale in programma: solo «mascherine, distanziamento e gel igienizzante». Nessuna zona rossa all’orizzonte, spiegano, perché si tratta dello «stesso virus che va trattato nello stesso modo, senza allarmismi», e i focolai verranno gestiti con «ugualmente agli altri». E non c’è nemmeno il rischio, dicono, che faccia saltare la campagna vaccinale: «A maggior ragione sarà necessario accelerare le somministrazioni – spiegano – e per questo stiamo chiedendo a Roma di autorizzare AstraZeneca anche in soggetti dall’età più avanzata».
L’ipotesi di fare più test nelle scuole non è ancora confermata
Le varianti «inglese» e «brasiliana» (quest’ultima in provincia di Varese) erano già state individuate la scorsa settimana, ma ad accendere maggiormente l’attenzione mediatica è stata l’individuazione di 3 casi nelle scuole dell’hinterland milanese. Come affermato da Marino Faccini, responsabile di Malattie infettive all’Ats Milano, quella «inglese» si diffonde molto più rapidamente tra i bambini di quanto non accada nella sua versione “classica”.
A tal proposito, il direttore generale Welfare di Regione Lombardia, Marco Trivelli, aveva anticipato in occasione di un’audizione in Commissione Sanità del Consiglio Regionale (tenutasi lo scorso 10 febbraio) che nel giro di qualche settimana sarebbe stata ufficializzata una campagna di screening potenziato nelle scuole. Dalla Regione, però, non forniscono ulteriori dettagli – e anzi smentiscono che sia in programma.
Il caso Bollate e i protocolli operativi sui focolai
Intanto oggi, 12 febbraio, è partito lo screening di massa per tracciare i contatti dei 45 alunni e 14 insegnanti/operatori Ata dell’Istituto comprensivo Rosmini di Bollate risultati positivi al tampone (59 in totale), 3 dei quali alla variante SARS-CoV 2 inglese. Come spiegano dall’Ats, è stato avviato un protocollo di sorveglianza da manuale – cioè, il classico modus operandi per il tracciamento dei focolai, che prevede l’isolamento immediato dei positivi e dei contatti stretti – , in aggiunta a quello specifico per le varianti, messo a punto dal direttore generale Welfare Marco Trivelli.
La forma di sorveglianza speciale prevede la messa in quarantena di tutti i contatti stretti avuti dai positivi nelle due settimane precedenti, con tanto di doppio tampone per ognuno sia all’inizio che alla fine dei 14 giorni. Il protocollo è scattato in automatico: l’Ats, sotto la direzione del direttore generale Walter Bergamaschi, si è adoperata in collaborazione con la scuola e il comune. Fino al completamento dello screening, che durerà fino alla prossima settimana, anche le scuole primarie Marco Polo e l’asilo Munari rimarranno chiuse. Al netto di una risposta efficiente ex post, la speranza è che arrivi a stretto giro anche una proposta per la gestione preliminare dei contagi.
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