Variante inglese, Crisanti: «Con il 20% di diffusione tra un mese saremo come il Regno Unito. Arcuri? Dilettantismo che fa orrore» – L’intervista
Sono stati 852 i campioni di Coronavirus arrivati da 16 Regioni italiane e Provincie Autonome nei laboratori di analisi: gli 82 centri al lavoro hanno individuato una media di quasi il 20% di casi di variante inglese. L’Italia ha che fare con numeri che spaventano e che la avvicinano ai dati raccolti dai Paesi esteri già messi in ginocchio dalle varianti. La conferma di un’emergenza che a tutti gli effetti ci introduce in una nuova era della pandemia, quella delle mutazioni. Cosa fare? Il professor Andrea Crisanti ragiona sui dati arrivati nelle ultime ore e su quello che significheranno per i prossimi giorni.
Professore, la variante “inglese” sta conquistando il Paese. Che cosa non stiamo facendo?
«Che cosa non abbiamo fatto direi. Purtroppo c’è da parlare al passato perché il dato del 20% indica uno stato di emergenza a tutti gli effetti. Abbiamo iniziato a controllare le varianti di Covid sul territorio nazionale non solo tardi ma anche con pochissimi mezzi. La scelta è stata quella di perseguire misure che sarebbero state più adatte per un Paese senza problemi di diffusione e non in una situazione con varianti in espansione. In poche parole tutto sbagliato. In un déjà-vù demoralizzante, ci siamo comportati come se il problema non esistesse e di questo davvero non riesco a farmene una ragione. Invece di sequenziare da novembre più varianti possibili nei laboratori, abbiamo scelto di fare i controlli con i test rapidi, strategia totalmente inadeguata».
L’Umbria è entrata in rosso soltanto dopo il boom di casi da variante, ora la Toscana si avvia a un rischio di diffusione molto simile ma la decisione al momento prevede un timido passaggio alla fascia arancione. Cosa fare?
«La Toscana è in una situazione difficile, ma il punto è che adesso non esistono Regioni non in pericolo, con la variante inglese non ce n’è per nessuno. Il 20% ci fa entrare chiaramente in uno stato d’emergenza, basti vedere quello che è successo nel giro di 20 giorni nel Regno Unito: da 6mila a 70mila casi. Quello che mi chiedo è chi stia consigliando il ministro Speranza. Fino a ieri si parlava di zone gialle e di mobilità tra le Regioni, ora di riaprire gli impianti sciistici. Una follia».
Cos’è che non è stato ancora detto sul pericolo che stiamo correndo?
«Il rischio di non avere più controllo neanche con i tamponi rapidi. L’impatto delle varianti sui test che stiamo usando per il tracciamento può modificarne l’efficacia con le conseguenze che questo avrà nell’incremento di falsi negativi. Un sistema di tracciamento che entrerà ancora più in panne di quanto non lo sia già».
Continuano a spuntare in Italia focolai nelle scuole facendo temere un impatto maggiore della variante sui bambini. L’Iss in Italia ha rassicurato, mentre gli esperti britannici fin dall’inizio hanno caldeggiato la tesi opposta: a chi credere?
«Agli inglesi. Hanno sequenziato 200mila virus con una fotografia attuale molto più dettagliata di quella che abbiamo in Italia. Non siamo stati in grado di implementare un programma di analisi come se il problema non ci riguardasse e questo è il risultato».
Ora con Draghi le cose potrebbero cambiare.
«I miracoli non li fa nessuno. L’atteggiamento messianico nei confronti di Draghi non risolverà un problema che è ben più strutturale e di certo non può essere risolto in un giorno»
Ma il piano pandemico e vaccinale è anche una questione di scelte. Pensa sia il caso di riconfermare il ruolo del Commissario Domenico Arcuri anche nella nuova formazione di governo?
«Tra un paio di settimane ci troveremo in condizioni di prendere decisioni ancora più drastiche che avremmo tranquillamente potuto evitare. Non conosco Arcuri, e chi abbia ispirato la maggior parte delle decisioni, ma obiettivamente le mosse compiute sono state del tutto inadeguate. La strada seguita è quella di un dilettantismo che fa orrore, opterei innanzitutto per un cambio di neuroni, poi se attraverso passaggio di ruolo o una trasformazione di strategia lo decidano loro. Tra le cose che attualmente più mi stupiscono c’è la questione delle primule: nessun Paese ha scelto di fare infrastrutture da capo, hanno sfruttato luoghi già disponibili con un risparmio e una funzionalità senza confronto. A che pro lo sforzo immane di questi padiglioni dal nulla? Anche per Domenico Arcuri mi chiedo chi lo stia consigliando. La risposta che mi sono dato è che la politica che si segue è quella della spesa: se non costa molto non è una buona strategia. Un’approccio culturale e gestionale deleterio che il più delle volte prevede un impegno notevolissimo di spesa e un impatto bassissimo se non controproducente».
Professore, cosa aspettarsi per i mesi futuri della nuova “fase varianti”?
«Non c’è bisogno di andare molto in là. Se continuiamo così fra un mese saremo in una situazione molto simile a quella del Regno Unito, Israele e Portogallo. Con il 20% di presenza di variante “inglese” i casi esploderanno in poco tempo».
Nessuna speranza con l’aiuto dei vaccini?
«Vaccinare con questi livelli di trasmissione non costituisce un passo avanti. Serve fermare le varianti per riuscire a dirigersi davvero verso un’immunizzazione di massa. La strada ora è bloccare tutto con un lockdown, arginare la diffusione delle mutazioni e solo parallelamente vaccinare più persone possibili».
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