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Coronavirus, manca il personale per vaccinare. La protesta degli infermieri: «Siamo pronti ma lo Stato non ce lo permette»

13 Febbraio 2021 - 06:58 Giada Giorgi
Mascherina, camice e cartello in mano, le centinaia di operatori sanitari membri del Movimento Nazionale Infermieri si fotografano in un flashmob virtuale dai loro reparti protestando contro le regole del bando di reclutamento

«Sono disponibile a vaccinare ma lo Stato non me lo permette», mascherina, camice e cartello in mano, le centinaia di operatori sanitari membri del Movimento Nazionale Infermieri (MNI) si fotografano in un flashmob virtuale dai loro reparti protestando contro un sistema che li limita. «Rimuovere il vincolo di esclusività subito», scrivono, riferendosi alla clausola contrattuale che ad oggi impedisce loro di prendere parte alla campagna vaccinale anti-Covid del Paese.

Il vincolo legislativo contenuto nel CCNL (Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro) relativo al personale del comparto Sanità, vieta agli operatori sanitari delle strutture ospedaliere, pubbliche e private, di dedicarsi alla professione anche al di fuori dell’azienda. Il rapporto intrattenuto con il datore di lavoro è di completa esclusività, «vincolo non previsto per i medici che invece esercitano anche intromoenia e al di fuori delle strutture».

A spiegare «la gabbia ingiusta» è Diego Roviti, tra i fondatori del Movimento apartitico, infermiere del San Camillo di Roma e ora impegnato al Cotugno di Napoli per l’emergenza Covid. «È una guerra che la categoria combatte da molto tempo e che alla luce dei mesi di lotta al virus passati in prima linea e delle promesse dall’alto mai mantenute, deve essere ora portata avanti come non mai».

Il riferimento è alle vaccinazioni per le quali gli infermieri a contratto pubblico o privato non potranno prestare servizio. «Sappiamo bene quanto in questi mesi non ci siamo mai sottratti alla fatica della lotta al virus, abbiamo fatto una scelta di vita. Ora per i vaccini siamo fuori gioco e alla luce di una campagna che continua a rallentare, l’assenza di libertà di professione appare ancora più ingiusta».

Uno dei problemi principali per il piano strategico nazionale è senza dubbio quello della disponibilità di operatori sanitari. «Il parafulmine del Commissario Arcuri finora è stato quello dei ritardi delle dosi. Ma quando le forniture arriveranno in tempo, e in parte già sono arrivate, il problema più evidente sarà quello di recuperare operatori sanitari in un numero sufficiente a reggere il ritmo necessario» continua Roviti. E in effetti già per rispettare la promessa dei 7 milioni di immunizzati entro marzo, il ritmo di iniezioni giornaliere dovrebbe passare dalle 65 mila attuali alle 248 mila necessarie praticamente da subito.

Occorrono sedi, strumentazioni e, non ultimi, operatori. «Il bando di reclutamento diffuso a metà dicembre dal Commissario prevedeva la partecipazione esclusiva di infermieri disoccupati o inoccupati», continua a spiegare Roviti, «una categoria dal numero molto esiguo visto l’emergenza che da mesi ha chiamato gli operatori sul campo, per non parlare delle condizioni offerte dalle agenzie interinali».

Il nodo economico e un bando svalutante: «Professionisti e non martiri»

Il dibattito sulla questione dell’esclusività è più che mai aperto. Se da una parte, la chiamata della Regione Lombardia «su base volontaria» ha per esempio destato indignazione e polemiche tra la categoria, dall’altra c’è chi accusa gli operatori sanitari «di non accontentarsi».

«Abbiamo lauree magistrali e master, perché a differenza di tutti gli altri operatori della Sanità per noi dovrebbe valere la regola della base volontaria? Siamo dei professionisti e non dei martiri». A rispondere alle obiezioni è Daniela Maggio, in servizio come infermiera all’Ospedale Policlinico di Milano, referente regionale per la Lombardia del Movimento Nazionale di categoria.

La risposta è anche per chi invita gli operatori a lasciare spazio a chi non ha un contratto corrente. «Dove sono tutti queste persone da impegnare nelle somministrazioni? Se ci fossero, lasceremo volentieri il posto, ma di fatto c’è un bando a cui hanno risposto in 4 mila, con circa 800 euro netti di retribuzione offerta dalle agenzie interinali a professionisti laureati», continua Maggio. Il nodo dei 30 mila infermieri necessari per l’immunizzazione dell’intera popolazione italiana rimane di fatto ancora un problema da risolvere.

«Persino quelli che non hanno un contratto lavorativo hanno rifiutato le condizioni minime decise del governo. La sottovalutazione della nostra figura professionale oggi è ancora più evidente, una questione di salute ma anche culturale che dopo tutte le morti in corsia avvenute in questi mesi è necessario rivoluzionare».

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