La resistenza dei ragazzi contro i generali in Myanmar: «Rimaniamo svegli per sventare gli arresti, suoniamo le padelle per lanciare l’allarme»
«Temo di non essere disponibile per un’intervista in questo momento per ragioni di sicurezza. Non riesco a chiamare perché nei dintorni c’è troppo silenzio e stasera la ricerca della polizia si è fatta molto intensa». Wai Moe Naing, 25 anni, ricercatore e attivista, ci dà appuntamento qualche ora più tardi rispetto a quando viene contattato, sempre su Signal, l’app di messaggistica prediletta dai giovani della resistenza in Myanmar. Nei giorni dopo il colpo di stato, in cui l’esercito ha dichiarato lo stato di emergenza e ha arrestato i membri del governo, a partire dalla premio nobel Aung San Suu Kyi e vari membri dell’opposizione, internet è stata oscurata in molte parti del Paese e i principali social network, come Facebook e Twitter, sono stati bloccati.
È lo stesso copione che si ripete, dalla Bielorussia al Venezuela. Le proteste sono andate avanti comunque e i video dei manifestanti respinti con gli idranti dall’esercito hanno continuato a girare sui social media visto che gli attivisti, sopratutto i più giovani usano la Vpn per aggirare i divieti dell’esercito. Ma unirsi alla resistenza non è semplicemente una questione di un “clic” e via, di qualche video e marcia simbolica. Richiede sforzi e sacrifici ben più grandi come racconta Wai.
I raid notturni della polizia e la protesta delle pentole
«Non sono stato costretto ad andare via di casa ma ho preferito fare così. La polizia dà la caccia ai manifestanti per capire come e quando si incontrano con altri attivisti. Stanno arrestando decine di persone ogni notte. Quando in un quartiere le persone vedono arrivare i poliziotti cominciano a battere le padelle per suonare l’allarme. Spesso scendono per strada per inseguire la polizia e cercare di trarre qualcuno in salvo. A volte ci riescono».
Dall’indomani del colpo di Stato, ogni sera tra le 20 e le 21 a Yangon così come in altre città sparse per il Paese migliaia di cittadini si affacciano sui balconi e sbattono pentole e padelle per mandare un segnale ai generali. Secondo Wai – che era a Yangon ma è tornato nella sua città di origine, al nord del Paese nei giorni dopo il golpe – sbattere le pentole ha anche una valenza simbolica: «Nella nostra cultura è un modo per esorcizzare il male. In questo caso l’esercito». Ma, come spiega al telefono, dopo la mezzanotte il suono assume un altro significato visto che dopo quell’ora l’esercito arresta in massa le persone.
Secondo il gruppo di monitoraggio Assistance Association for Political Prisoners, dall’inizio del golpe sono state arrestate più di 400 persone, ma potrebbero essere molte di più. «Il 9 febbraio – racconta Wai – l’esercito è entrato nel centro giovanile della mia città di cui sono segretario, per tentare di arrestare me e i miei colleghi, visto che è legato al partito di Suu Kyi, la Lega per la Democrazia. Da allora ci siamo dati alla fuga».
Non è il solo. Sempre su Signal parliamo con Thinzar Shun Lei, una delle attiviste più note a Yangon. Ha 29 anni e prima del golpe conduceva un talk show per under-30 su un popolare sito web locale. Adesso anche lei è in fuga dall’esercito. «I miei account social sono stati hackerati e non riuscivo più ad usarli – racconta al telefono -. La mia famiglia ha subìto intimidazioni, la polizia mi ha pedinato e interrogato a lungo per cercare di capire con chi mi incontro. Per questo motivo ho deciso di lasciare la mia abitazione a da allora passo da una casa all’altra. Di notte ci nascondiamo e rimaniamo svegli per sventare nuovi arresti. Ormai è tutto underground».
Una ragazza di 19 anni in condizioni critiche dopo un proiettile alla testa
Tutto tranne gli scioperi – che sono cominciati con i medici e si sono estesi velocemente ad altre categorie, tra cui insegnanti e studenti – e le manifestazioni. Da circa nove giorni centinaia di migliaia di persone scendono per strada contro il governo a Yangon e in altre città del Paese. La repressione della polizia si è fatta sempre più violenta. Martedì 9 febbraio una ragazza di 19 anni è stata raggiunta da un proiettile alla testa mentre manifestava nella capitale Naypyitaw. Poco dopo Joe Biden ha annunciato che il governo americano avrebbe introdotto sanzioni mirate nei confronti dei vertici dell’esercito che hanno architettato il golpe.
February 14, 2021
L’esercito schiera i carrarmati. Arrestati 5 reporter
Domenica invece l’esercito ha schierato carri armati a Yangon e in altre città, mentre i soldati hanno nuovamente aperto il fuoco per disperdere i manifestanti fuori da una stazione elettrica a Mytkyina, capitale dello Stato di Kachin, al nord del Myanmar. Secondo il sito 74 Media, anche cinque giornalisti sarebbero stati arrestati. La tensione è altissima. La giunta militare ha emesso mandati di arresto per i leader della protesta, tra cui Min Ko Naing, noto attivista pro-democrazia. In una dichiarazione firmata, gli ambasciatori di Usa, Ue e Gran Bretagna hanno fatto appello alle forze di sicurezza «perché si astengano dalla violenza contro i manifestanti».
Intanto, il Paese si prepara a un nuovo blackout. «Hanno deciso di oscurare di nuovo internet a partire dall’una di notte fino alle nove», racconta Aung Htay Myint, 28 anni, impiegato statale, anche lui parte della resistenza a Mandalay, la seconda città più grande del Paese. Il giorno del golpe avevano bloccato anche le linee telefoniche e Aung, insieme ai suoi colleghi, è corso in ufficio per nascondere i documenti. Poi è iniziata la fuga verso altre città. «Cercano di bloccare le manifestazioni – aggiunge -. Per loro è importante che lunedì riprenda l’attività lavorativa. Immagino che adesso ci saranno altri arresti».
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