Vietate le indagini sulla vaccinazione dei dipendenti: arriva la conferma del Garante della Privacy
In queste settimane si è discusso molto sulla possibilità per il datore di lavoro di licenziare i dipendenti che rifiutano di farsi somministrare il vaccino anti Covid: in questo dibattito interviene in modo prepotente il Garante della Privacy con delle FAQ che rafforzano molto le tesi di chi ha sollevato dubbi sulla possibilità per i datori di imporre la vaccinazione (e di sanzionare con il licenziamento l’eventuale rifiuto). La linea guida, secondo quanto dichiara la stessa Autorità, è quella di prevenire possibili trattamenti illeciti di dati personali, anche nel contesto di emergenza creatosi con la pandemia.
Il datore di lavoro non può indagare su chi è vaccinato e chi no
Il primo problema che affronta il Garante riguarda la possibilità per il datore di lavoro di chiedere ai dipendenti se sono vaccinati. La risposta è molto netta e non ammette equivoci (confermando i dubbi che avevamo sollevato su queste pagine): il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l‘avvenuta vaccinazione anti Covid-19. Ciò non è consentito dalle disposizioni dell’emergenza e dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e non si può derogare al divieto neanche con il consenso dei dipendenti, in ragione dello squilibrio del rapporto tra le due parti.
Non si può chiedere al medico competente l’elenco dei dipendenti vaccinati
L’Autorità esclude anche la possibilità per il datore di lavoro di chiedere al medico competente i dati sanitari dei lavoratori. Le informazioni relative alla vaccinazione sono dati sanitari, che vengono acquisti dal medico nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica, e sono coperti come tutti gli altri dal divieto di indagini. Non è vietata, tuttavia, ogni tipo di indagine. Il datore di lavoro può acquisire i giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni o limitazioni in essi riportati: pertanto, se il medico ritiene che il lavoratore non sia idoneo perché non è vaccinato, può comunicarlo al datore di lavoro.
Solo il medico competente può vietare l’accesso al lavoro ai dipendenti non vaccinati se svolgono alcune mansioni specifiche
Il Garante è più flessibile sul tema dell’accesso al lavoro, ammettendo la possibilità di vietare lo svolgimento di determinate mansioni (ad es. in ambito sanitario) ai dipendenti non vaccinati. Le FAQ evidenziano, tuttavia, che sul tema sarebbe opportuno un intervento del legislatore, che chiarisca se e quando la vaccinazione anti Covid-19 può essere imposta come requisito per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni. In attesa di questo intervento normativo, il Garante ricorda che, nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario che comporta livelli di rischio elevati per i lavoratori e per i pazienti, trovano applicazione le misure speciali di protezione previste per taluni ambienti lavorativi (art. 279 del Testo Unico Salute e Sicurezza sul Lavoro).
Questo vuol dire che il medico competente può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, sulla base di questi, può formulare una valutazione di inidoneità alla mansione specifica, mentre il datore di lavoro non ha un ruolo attivo: deve limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore.
Immagine copertina di Daniel Schludi su Unsplash
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