Covid, la scuola ostaggio delle varianti. I presidi: «Un metro di distanza è insufficiente. I vaccini? Ne servono di più»
Le varianti corrono ma il governo è in battuta d’arresto. La crisi politica ha rallentato ulteriormente le decisioni urgenti che da settimane pendono sulla scuola, l’istituzione che dall’ottobre rosso della seconda ondata di Covid ha ripreso più di tutte a subire chiusure a singhiozzo. La didattica a distanza (Dad) è stata protagonista assoluta tra gli studenti delle superiori per quasi 12 mesi, e ora il neoministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi si è dato come obiettivo quello di riportare tutti in classe il prima possibile. Come farà, però, non è ancora chiaro. E i presidi restano scettici sulla possibilità di risolvere il problema nel giro di poco tempo.
Dal Ministero si capisce poco, visto che il passaggio di consegne tra Lucia Azzolina e Bianchi c’è stato solo il 15 febbraio. I due avevano già collaborato nei mesi estivi per riorganizzare il rientro in classe dopo la prima ondata di Coronavirus, e la linea aperturista sembra essere la stessa della gestione uscente. A complicare ulteriormente il lavoro del nuovo ministro, però, si aggiunge la minaccia delle varianti. Più contagiosa e, forse, più mortale, la B117 (la cosiddetta variante “inglese“) richiede un monitoraggio più incisivo. E, soprattutto, uno sprint nella campagna vaccinale.
Eppure sul piano del tracciamento non paiono esserci reali strategie. Al netto delle dichiarazioni di alcune Regioni – su tutte quelle della Lombardia, che per bocca del direttore del Welfare Marco Trivelli aveva annunciato un incremento del testing – nella realtà dei fatti c’è poco o niente in programma. A livello locale si continua a procedere in ordine sparso.
Come spiegano dalle rappresentanze, lo screening è ancora inceppato dall’autunno, e, nonostante il passaggio di quasi tutte le regioni in giallo (e quindi del ritorno di almeno il 50% degli alunni in presenza), non c’è stata una vera ripresa. Anche il sistema di monitoraggio nelle scuole si è bloccato dopo le chiusure di novembre, tanto che l’ultimo report ministeriale nazionale riguarda solo i mesi tra settembre e novembre e parla di circa 100 mila positivi e 850 mila persone in quarantena.
Lo scoglio degli over 55
«Sembrerebbe che la variante “inglese” sia più aggressiva, quindi prima di rientrare al 100% sarà necessario sciogliere qualche nodo», spiega Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale dei Presidi (Anp). In primis c’è la questione vaccini: la fase 2 prevede la somministrazione tra gli insegnanti di AstraZeneca – i quali però sono in buona parte over 55. Come stabilito dalle autorità sanitarie italiane, il vaccino di Oxford non può essere somministrato a chi ha più di 55 anni per ragioni di efficacia, il che significa che rimarrebbero fuori da questa fase circa 250 mila docenti. Più o meno il 39% del totale.
In attesa che l’Aifa decida sulle somministrazioni fino ai 64 anni (sono di queste ore le sollecitazioni del riconfermato ministro della Salute Roberto Speranza), per Giannelli è necessario procurarsi più dosi dei vaccini anche dalle altre case farmaceutiche. «Questa è la priorità assoluta», spiega. «Senza questa premessa è difficile pensare di cambiare passo».
La regola di 1 metro non vale più
Che bastasse un solo metro di distanza per proteggersi dal contagio era già in dubbio prima dell’entrata in scena delle varianti. Il Comitato tecnico scientifico lo aveva stabilito ad agosto più per ragioni pratico-politiche che per reali convinzioni sanitarie. Ora, però, andare per approssimazione potrebbe essere più rischioso: viaggiando a una velocità 7 volte superiore alla sua versione “classica”, la B117 risulta incompatibile con le classi come le conosciamo.
Sul versante studenti, infatti, a preoccupare i presidi è il rischio affollamento. «Il semplice distanziamento non basta», spiega Giannelli. «La maggior parte delle scuole ha classi piccole e non adeguate a far fronte a un rischio del genere. Le autorità sanitarie dovranno chiarire il punto sulla distanza, ma temo che serviranno più di 100 centimetri». Tutti i lavori di edilizia leggera promessi in estate per il riadeguamento delle aule sono in parte stati messi da parte dal brusco rientro in Dad di novembre. Attualmente «non è pensabile gestire un’epidemia in edifici fatiscenti e in stanze piccole come quelle di cui disponiamo».
Immagine di copertina: ANSA/ ©Matteo Montenero/ ©Luigi Greco
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