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Gli espulsi dal M5s, parla Mattia Crucioli: «Sono io che me ne vado. Il Movimento punta solo allo status quo»

18 Febbraio 2021 - 15:41 Felice Florio
Il senatore, dopo aver votato "no" alla fiducia a Draghi, ha annunciato che cercherà di formare un nuovo gruppo al Senato: «Nel Misto è difficile fare un'opposizione dura e il Movimento è cambiato troppo per restarci»

«No, mai!». Passate le 23, quando a Palazzo Madama era in corso la prima chiama sulla mozione di fiducia al governo Draghi, dai banchi del Movimento 5 stelle si è alzato un urlo forte, convinto. Proveniva dallo scranno del senatore Mattia Crucioli. L’avvocato, specializzato in giustizia amministrativa, è stato eletto per la prima volta al Senato, nel 2018, nel collegio uninominale di Genova. Insieme ai colleghi di partito Primo Di Nicola e Emanuele Dessì, è stato tra i primi a chiedere che la guida del Movimento passasse dal capo politico unico a un comitato direttivo. Proprio ieri, quando Rousseau ha decretato la svolta nella leadership grillina, Crucioli ha dovuto prendere atto che il Movimento non era più la sua casa politica.

Dopo il suo “no” alla fiducia a Draghi e l’annuncio di Vito Crimi dell’espulsione dal gruppo parlamentare dei 15 senatori che hanno votato in dissenso, continuerà la sua lotta per cambiare il Movimento da dentro, come farà la senatrice Barbara Lezzi, o si collocherà altrove?

«Innanzitutto quello che farò sarà portare avanti un’opposizione dura nei confronti di questo governo, del quale non condivido né gli obiettivi né la modalità con cui è stato messo al potere. Per fare opposizione al meglio, cercherò di dare vita a un nuovo gruppo parlamentare, perché fare opposizione come atomi dal Misto è più complicato. Altri, legittimamente, credono di dover resistere all’interno del Movimento perché vivono come una prepotenza quella di essere stati cacciati. Io non sono tra quelli, perché penso che le scelte di fondo del Movimento non coincidano più con i motivi che mi avevano condotto a candidarmi nel 2018».

Per formare un nuovo gruppo a Palazzo Madama, però, servono 10 senatori. Pensa di riuscire a trovarli?

«Ognuno ha i suoi tempi. Ci stiamo lavorando, non è facile fare un passo di questo tipo perché è un’interruzione irreversibile di un percorso durato a lungo insieme ai colleghi con cui si sono condivise tante battaglie. Io, in un certo senso, ho elaborato il lutto in maniera più rapida poiché è già da alcuni mesi che mi contrappongo a certe scelte del Movimento. Ho capito da un po’ che la parabola dei 5 stelle si era piegata verso un riformismo blando, un mantenimento dello status quo.

Se io sono sceso in politica è, invece, per apportare dei cambiamenti importanti. Cambiamenti che si scontrano con la svolta centrista, o come ama dire Luigi Di Maio baricentrica, del Movimento. Per me bisogna fare piazza pulita di una certa mentalità che porta a tenere due piedi in una scarpa, che suggerisce il cambiamento anziché gridarlo. Vivo la politica no nel senso elitario in cui la intende Draghi, ma in una direzione fortemente popolare».

Il nuovo gruppo che sta cercando di formare si posizione nel campo del centrodestra o del centrosinistra?

«Una cosa di quello che dicevano Casaleggio e Grillo continua a essere vera, ed è la base sulla quale è nato il Movimento 5 stelle. I concetti di destra e sinistra sono superati. Questo governo, d’altronde, lo dimostra: tutti i partiti si arroccano su questioni ideologiche ma poi, quando arriva il momento opportuno, gettano la maschera per i propri interessi. Chi è di sinistra in questo governo? Renzi, il Pd? Possiamo dire che la Lega è un partito di destra al governo?

Vedrete, quando si tratterà di spartirsi le briciole che cadranno dai tavoli dei ministeri tecnici, nessuno difenderà gli operai che li hanno votati o i piccoli imprenditori del Nord. Questo governo nasce per difendere gli interessi dell’alta borghesia, della finanza, della razza padrona, non di certo per schierarsi dalla parte degli ultimi. Non vorrei citare Gaber ma, oggi, cos’è la destra? Cos’è la sinistra?».

Ha detto che la parabola del Movimento ha preso una svolta verso il governismo, abbandonando le posizioni radicali che l’avevano caratterizzato. A cosa e a chi imputa il cambiamento?

«Governare è difficile se si hanno degli ideali sinceri. Fare opposizione, portando avanti l’elenco dei sogni, è paradossalmente più semplice. Quando si arriva di fronte a delle scelte, però, bisogna vedere chi ha il coraggio di andare fino in fondo e chi si adegua. Gli eletti del Movimento che si sono accomodati nel salotto buono hanno avuto paura di essere visti come parvenu e quindi hanno iniziato a moderare parole e azioni, fino ad un appiattimento sulla classe dirigente che prima contestavano. Così facendo, sperano di essere accolti nella corte di chi c’era prima di loro e di chi verrà dopo di loro».

Si dice che alcuni di voi si stiano staccando dal Movimento per non restituire più la parte di emolumenti. Lei cosa farà?

«Fugo ogni dubbio: la mia scelta non ha alcuna relazione con la questione delle restituzioni. Qualunque cosa accadrà, che io passi al Misto o riesca a formare un nuovo gruppo, continuerò a tenere fede alla mia promessa con gli elettori. Restituirò la parte eccedente del mio stipendio a enti che fanno beneficenza e rendiconterò tutto pubblicamente. La quota di 300 euro mensili che versiamo a Rousseau, invece, mi sembra evidente che non sia più il caso di versarla: Rousseau è stato utilizzato nelle ultime tornate non come servizio al Movimento, ma per indirizzare la base sulle scelte del capo politico».

Quindi è lei che lascia il Movimento, non il capo politico a cacciarla?

«È irrilevante quello che farà il capo politico. Le nostre strade sono divergenti, gli interessi che vogliamo proteggere sono divergenti, la nostra concezione della politica è divergente. Il Movimento 5 stelle, oggi, punta a mitigare l’azione del governo. Io non ci sto più, io voglio oppormi alla visione della società di Mario Draghi, non mitigarla».

Glielo chiedevo perché Crimi ha parlato di espulsione del gruppo parlamentare, non dal Movimento.

«Non fa differenza, per me, essere espulsi dal gruppo parlamentare o dal Movimento. Il momento dei cavilli è finito. Il fulcro della questione e dove ci si vuole posizionare: non esistono vie di mezzo, o si fanno gli interessi delle banche, delle multinazionali, dei grandi capitalisti, oppure si sta con le fasce più deboli della popolazione, con il ceto medio, con gli artigiani. Tra le varie parole fumose dette da Draghi al Senato, c’è stato un passaggio molto chiaro, quello sulla necessità di cedere sovranità.

Io sto dalla parte di chi contesta i vincoli esterni: il patto di stabilità, ancorché sospeso per il Covid, tornerà ed è un vincolo che non ci permette di fare politiche economiche decisive. Accettare una cessione ulteriore di sovranità ci porterà a un’economia costruita ad arte per i grossi colossi, incompatibile con gli interessi del tessuto economico italiano fatto di piccole imprese da proteggere».

A tutto ciò, lei non ha semplicemente detto “no”, ma ha gridato in Aula «no, mai!». È stato liberatorio?

«Non solo liberatorio. In quel momento provavo un certo imbarazzo per l’aria di piaggeria, la melassa che ha invaso il parlamento. Chiunque prendesse la parola, che fosse un sovranista della Lega o un vecchio socialista, ha rimosso le proprie idee incensando la nascita di questo governo. C’è stata una rimozione collettiva delle proprie idee, la stessa che nel Paese hanno promosso i media. Il pluralismo è stato sacrificato sull’altare di Draghi. Stiamo parlando della persona che negli anni ’90 fu l’artefice della dismissione dei gioielli della cosa pubblica a vantaggio di interessi sovranazionali e delle banche internazionali.

Così come, dalla narrazione, è stata rimossa l’inadempienza di Draghi quando era a Bankitalia, che non ha vigilato sull’acquisizione dell’Antonveneta da parte di Mps. Draghi è stato l’artefice dell’acquisizione di derivati tossici che hanno avvantaggiato le banche internazionali e danneggiato, ancora una volta, l’Italia. Draghi ha costretto i greci a capitolare: vi ricordate quando sono state congelate le liquidità degli istituti ellenici e, per 20 giorni, le famiglie greche non hanno più potuto accedere ai fondi? È un personaggio la cui storia non si può trascurare, che fa gli interessi dell’entourage che lo ha espresso.

Guardate Diplomatia, quell’associazione che promuove incontri tra personalità di alti livelli: nella lista degli ospiti di onore ci sono il nuovo ministro del Mef e quello del Mit. Una conventicola in cui compaiono anche i nomi di magistrati, pezzi da ’90 delle lobby internazionali. Guarda caso, anche il presidente di Atlantia ne fa parte. Faccio un esempio concreto di quello che accadrà, visto che abbiamo accettato di sederci al tavolo del governo con persone legate da questo genere di interessi: l’estromissione dei soci di Atlantia, responsabili della sicurezza del Ponte Morandi, e la revoca delle concessioni a Autostrade per l’Italia, adesso, non accadrà più. Vedrete».

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