L’ascesa jihadista, i ribelli ruandesi, la guerra per le risorse: la polveriera della Repubblica Democratica del Congo
È un convoglio appartenente alla missione di peacekeeping dell’Onu MONUSCO quello coinvolto oggi in un attacco nella Repubblica Democratica del Congo in cui sono rimasti uccisi l’ambasciatore italiano Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci. La missione, istituita nel 2010, era stata prorogata proprio alla fine del 2020 per un altro anno. Lo scopo era quello di procedere al lento disimpegno dei 12 mila militari e più di 30 mila civili impegnati in una delle aree più instabili del continente.
L’attivismo di Daesh
L’attentato è avvenuto nelle vicinanze della città di Goma, capitale del North Kivu, regione al confine con il Ruanda, dove hanno trovato rifugio miliziani del gruppo armato ugandese di ispirazione salafita dell’Adf che progettava di trasformare il vicino Uganda in una Repubblica islamica. Inoltre, lo scorso 16 aprile – come fa notare un report dei servizi segreti italiani – l’attacco ad una postazione militare – la caserma di Kamango – è stato rivendicato da Daesh, che ha nell’occasione annunciato la costituzione di una Islamic State Central Africa Province. Il Paese, secondo il monitoraggio degli 007, sconta «un quadro di pronunciata fragilità sulla cui evoluzione appare ora gravare anche la crescita della violenza di segno jihadista».
Ma a rendere il Paese ancora più vulnerabile – oltre alla presenza di oltre 100 gruppi armati ribelli – è la competizione per lo sfruttamento delle ricchezze (materie prime e minerali). Si stima che ci siano risorse minerarie non sfruttate per il valore di 24 migliaia di miliardi. Il commercio dei minerali – tra cui oro, pietre preziose e minerali per l’industria ad alta tecnologia, come il coltan – permette alle milizie presenti sul territorio di acquistare armi. Per questo, a partire dal 2010 gli Stati Uniti hanno deciso di ridurre l’acquisto di minerali nel paese. Tuttavia, dopo che molte multinazionali hanno smesso del tutto di acquistare minerali dalla RDC, molti minatori si sono trovati senza lavoro, spingendo così molti a unirsi ai gruppi armati per ottenere una fonte di sostentamento.
Oltre 900 mila rifugiati e 4,5 milioni di sfollati interni
Un’instabilità interna che ha portato la RDC ad avere al momento circa 4,5 milioni di sfollati interni e più di 900 mila rifugiati in altre nazioni. Come fa notare nel suo ultimo report il centro studi CeSi, in questo contesto l’Adf ha proliferato, riuscendo ad agganciare l’universo jihadista dello Stato Islamico. Con la mancanza di solide strutture statali, le organizzazioni jihadiste mirano ad espandere il loro controllo sul territorio. Ed è in questo contesto che «gli attacchi delle milizie etniche contro le Forze Armate congolesi ed il personale sia civile che militare delle Nazioni Unite acquisiscono un significato politico ed economico».
Mentre rimangono da chiarire le dinamiche dell’attacco, secondo fonti inquirenti, la pista più credibile porta agli uomini delle Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda. Il Fdlr-Foca è il principale gruppo residuo di ribelli ruandesi di etnia Hutu, conosciuti per il genocidio in Ruanda. E’ questa l’ipotesi prevalente, sebbene non la sola, privilegiata anche dalle forze di polizia e dalle autorità locali. Il CeSi, da parte sua, cita come possibili responsabili la milizia Tutsi, che si oppone agli Hutu, e l’Adf.
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