Coronavirus, al Poliambulanza di Brescia ricoveri triplicati in due mesi: «Abbiamo bisogno di aiuto» – L’intervista
Adesso è ufficiale: tutta la provincia di Brescia sarà zona arancione rafforzata a causa della crescita dei contagi da Coronavirus. Le stime sulla diffusione delle varianti Covid, raccolte da Open, erano allarmanti già il 18 febbraio. E oggi la vicepresidente di Regione Lombardia, Letizia Moratti, ha detto che le varianti sono presenti nel 39% dei casi. Sul territorio gli ospedali sono in affanno. Medici e infermieri continuano a lottare, ma ora devono affrontare quella che Guido Bertolaso non ha esitato a definire la «terza ondata» dell’epidemia. E anche loro hanno bisogno di aiuto.
«L’ospedale è un luogo in cui normalmente non si muore», racconta a Open Renzo Rozzini, responsabile dei reparti Covid in Fondazione Poliambulanza, uno dei maggiori ospedali di Brescia e caso unico di sanità privata no profit in Lombardia. Rispetto alla morte – generalmente confinata nei reparti di terapia intensiva o di geriatria, ma in numeri molto più bassi rispetto a quelli determinati dalla pandemia – «non esiste una consuetudine, non c’è un allenamento possibile».
Veder morire così tanti pazienti, in altre parole, sta lasciando «ferite profonde» nell’animo del personale sanitario. E si può solo immaginare quale sia il livello di stress emotivo legato al mestiere, un fattore che pesa inevitabilmente anche sui turni, sull’organizzazione del lavoro: «Alcuni medici sono veramente segnati. Un medico, di per sé, si considera indistruttibile. Anzi, prende forza dall’atto di cura e fatica a farsi curare a sua volta, non accetta facilmente la propria fragilità. C’è anche chi rifiuta il supporto psicologico, perché non riesce a parlarne. Bisogna stargli vicino».
Appena allestito il quarto reparto Covid
Al Poliambulanza è stato necessario allestire pochi giorni fa un reparto Covid aggiuntivo rispetto ai tre già presenti. Spiega sempre Rozzini: «Registriamo un aumento dei ricoveri e parallelamente, soprattutto nel fine settimana, una riduzione dei flussi in uscita, ovvero delle dimissioni». Il sabato e la domenica ci sono meno medici e la capacità di accoglienza di tutto il sistema sanitario organizzato è più limitata. È sempre stato così, ma con l’epidemia ancora di più, perché la priorità viene data ai servizi di emergenza, alle ambulanze e ai pronto soccorso.
Ricoveri quasi triplicati rispetto a Natale
I numeri parlano chiaro: «A Natale avevamo 54 pazienti Covid ricoverati. Domenica scorsa siamo arrivati a 132. Sono quasi triplicati». L’aumento è iniziato nella prima settimana di febbraio, con 90 pazienti. Poi, dal 10 febbraio, l’impennata vera e propria. «Ma l’ospedale deve funzionare anche per gli altri pazienti critici, che nell’ultimo anno sono stati di fatto espulsi. Ci sono anche altri pazienti che devono essere ricoverati, la capacità non è illimitata», continua Rozzini.
Pazienti trasferiti a Milano, Bergamo e Crema
Proprio per poter garantire anche questo tipo di attività, il Poliambulanza ha cominciato a trasferire altrove i malati di Covid-19. Domenica scorsa ne sono stati trasferiti cinque tra Milano, Bergamo e Crema. Ieri altri 11. «Oggi non so ancora quanti saranno, ma il dato è in crescita», prosegue Rozzini. E c’è anche un altro numero su cui riflettere: «A novembre abbiamo raggiunto un picco massimo di 126 ricoveri, meno quindi di domenica scorsa. E soprattutto il 60% arrivava da altre province. A novembre abbiamo dato, adesso siamo noi che abbiamo bisogno di aiuto, speriamo per un tempo limitato».
«Gli ordini si eseguono, non si discutono»
Sull’ordinanza appena varata dalla Regione, il dottor Rozzini non intende fare commenti inutili: «Quando c’è un’epidemia, bisogna entrare nell’ottica che gli ordini non si discutono. Se chi governa la sanità dà un ordine, bisogna eseguirlo. Io ricevo ordini e do ordini in una catena di trasmissione che deve essere logica per il bene della comunità. Bisogna salvare più persone possibili e per farlo c’è bisogno di una visione d’insieme. Con i “secondo me” non si va da nessuna parte».
Il peso delle variabili extra-cliniche sui percorsi assistenziali
Ma la zona arancione rafforzata sarà sufficiente ad arginare la terza ondata a Brescia? «Questo non lo so», risponde Rozzini, «posso dire però che esistono variabili cliniche e variabili extra-cliniche». Queste ultime sono di carattere organizzativo e possono modificare drammaticamente i percorsi assistenziali. Chiarisce ancora Rozzini: «Se ho a disposizione dei posti dove dimettere i pazienti che possono proseguire il trattamento con cure a bassa intensità, tipo i Covid Hospital o simili, ho un flusso in uscita che mi permette di accogliere nuovi malati. Viceversa, se non ho la possibilità di dimettere perché il sistema è bloccato a valle, i pazienti si accumulano in ospedale e il numero dei posti letto necessari cresce sempre di più».
Le richieste alle istituzioni
La richiesta rivolta alle istituzioni, quindi, è chiara: serve un’organizzazione complessiva del sistema che incrementi il numero delle strutture residenziali e l’assistenza domiciliare. «In ospedale vengono curati i malati più gravi, con degenze lunghe, che poi avrebbero bisogno di luoghi di convalescenza e monitoraggio». Durante la prima ondata dell’epidemia i Covid Hotel «volevano solo pazienti autosufficienti». Il problema vero, però, sono quelli non autosufficienti, ad esempio perché non sono in grado di prendere le medicine da soli: «Servono quindi strutture protette anche dal punto di vista infermieristico, non solo alberghiero. In Lombardia ce ne sono, ma non sono sufficienti. Sarebbe necessario aumentarle».
Segnali di speranza
La vera speranza è riposta nel vaccino: «Al Poliambulanza ci siamo vaccinati tutti. Medici, infermieri e personale amministrativo. Questo ci dà sicurezza, è tutto un altro modo di lavorare». Poi c’è l’esperienza acquisita nella cura della malattia: «Siamo diventati molto più bravi nel capire i malati, prevedendo chi si potrà aggravare. Durante la prima ondata ci basavamo molto sulle intuizioni, ma le intuizioni vanno sperimentate. Davamo gli antivirali, ma poi sono risultati non efficaci. Adesso ai pazienti diamo l’eparina in profilassi e il cortisone a dosaggi precisi quando hanno bisogno dell’ossigeno». Eppure la pressione sugli ospedali, fatalmente, condiziona anche la prognosi. Perché «se ci sono troppi pazienti, la qualità della cura non può essere adeguata».
Saturi anche i presidi della Asst del Garda
Lo stesso concetto viene espresso da Gaetano Elli, direttore sanitario dell’Asst del Garda. I tre presidi della Asst – Desenzano, Gavardo e Manerbio – sono saturi: «In questo momento abbiamo 170 pazienti Covid ricoverati di cui 11 in terapia intensiva e abbiamo esaurito la riserva di posti disponibili», spiega Elli. Regione Lombardia «ci ha chiesto di aumentare i posti letto», ma per assicurare un’assistenza adeguata servirebbero medici e infermieri in più. L’altra opzione, a parità di forze disponibili, è dimettere un maggior numero di pazienti non Covid “scaricandoli” sulle strutture sanitarie residenziali, pubbliche ma in gran parte del privato convenzionato e accreditato. Per farlo, è indispensabile un alto livello di coordinamento. «Ho appreso con piacere dell’ordinanza regionale che ha istituito la fascia arancione rafforzata», conclude quindi Elli, «perché nella nostra area i contagi stanno crescendo e per almeno un paio di settimane è prevedibile che il trend rimarrà questo. Fatte salve le urgenze, dedicare ai pazienti Covid ulteriori posti letto significa essere costretti a dilazionare i ricoveri un po’ meno urgenti. Una scelta drammatica, ma di fronte all’emergenza sanitaria non possiamo comportarci diversamente».
Foto di copertina: ANSA/FILIPPO VENEZIA | Il reparto Covid dell’ospedale Poliambulanza di Brescia
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