Tregua tra Facebook e l’Australia: revocato il blocco della condivisione degli articoli dei media nazionali
Gli utenti di Facebook che si connettono dall’Australia potranno tornare a leggere le notizie. O meglio, a condividerle. Almeno così è stato assicurato il social dopo che il ministro delle Finanze australiano Josh Frydenberg e l’amministratore delegato di Facebook Australia Will Easton hanno dichiarato di aver raggiunto un accordo. Il nodo della questione è la legge con cui il governo di Canberra vorrebbe obbligare le Big Tech a pagare per i contenuti dei giornali ripresi dai loro lettori.
I termini dell’accordo raggiunti non sono chiarissimi. Verranno svelati nei prossimi giorni, quando la legge sarà approvata definitivamente. Per adesso una vaga anticipazione è stata fornita da Easton: «Dopo ulteriori discussioni con il governo australiano, abbiamo concordato una soluzione che ci permetterà di sostenere gli editori che noi scegliamo, inclusi quelli minori e locali. Il governo ha chiarito che noi potremo mantenere la capacità di decidere quali notizie compaiono di Facebook, quindi non saremo automaticamente soggetti a negoziati obbligatori».
Come è nata la questione australiana
Tutto parte da lontano. Il grande tema al centro della contesa tra il governo australiano e il social di Zuckerberg è quello della proprietà dei contenuti. Le notizie pubblicate dai giornali creano traffico perché vengono condivise, vengono commentate, viaggiano nei gruppi e nelle conversazioni private degli utenti. Insomma, fanno vivere il social network. Partendo da questo, i click che arrivano ai giornali sono abbastanza per ripagare il ritorno in termini di traffico di cui può godere Facebook? Secondo il governo australiano, no.
Per questo il premier Scott Morrison ha lavorato a una legge per costringere Facebook a negoziare accordi con le case editrici, accordi che sarebbero stati decisi da un giudice esterno. Temendo che la decisione dell’Australia facesse partire un effetto domino in tutto il mondo, Zuckerberg si è opposto a questa soluzione, bloccando la condivisione delle notizie dalle pagine dei media locali. Uno shadow ban che (per sbaglio) aveva colpito anche pagine istituzionali e pagine che promuovevano campagne umanitarie.
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