Bonus Irpef da 100 euro, 1,5 milioni di lavoratori potrebbero doverlo restituire: ecco le categorie a rischio
È in arrivo il bonus Irpef 2021, che permette di ottenere fino a 100 euro in più in busta paga. Conosciuto anche come bonus Renzi, poiché è stato introdotto nel 2015 dall’allora presidente del Consiglio, il bonus è cambiato nel corso degli anni. L’importo è passato da 80 a 100 euro in base al reddito annuo lordo dell’avente diritto, che dev’essere compreso tra gli 8.174 e i 40 mila euro. La legge di bilancio 2021 ha esteso il bonus a una platea più ampia e le prime erogazioni sono partite il 23 febbraio. Per ottenerlo non bisogna fare alcuna richiesta. L’importo, infatti, viene calcolato ed erogato direttamente dall’Inps. Hanno diritto al bonus anche coloro che percepiscono la Naspi, l’indennità di disoccupazione Dis-Coll, i disoccupati del settore agricolo, i neo genitori che chiedono un congedo parentale e coloro che ricevono un assegno per attività socialmente utili o svolgono attività di tirocinio. Gli importi sono i seguenti:
- 100 euro al mese per redditi annui tra 8.174 euro e 28 mila euro;
- fino a 80 euro al mese per redditi tra 28 mila euro e 35 mila euro;
- meno di 80 euro al mese per redditi annui tra 35 mila e 40 mila euro;
- nessun bonus per redditi superiori a 40 mila euro.
Tuttavia, 1,5 milioni di lavoratori dipendenti che hanno beneficiato del bonus durante la seconda parte del 2020 rischiano di doverlo restituire al Fisco in tutto o in parte. Il quotidiano la Repubblica cita in proposito lo studio di Fisco Equo curato da Lelio Violetti, che riguarda i lavoratori dipendenti tra i 28 mila e i 40 mila euro di reddito. Il governo Conte II, l’anno scorso, aveva esteso l’erogazione del bonus a questa platea con un’operazione in due fasi. Prima dando ai percettori di un reddito compreso tra 8.145 e 26.600 euro un aumento del bonus di 20 euro, portandolo in totale a 100; contestualmente, però, ha introdotto un bonus anche per chi guadagna tra i 28 mila e i 40 mila euro, del valore di 100 euro decrescenti fino a zero per chi guadagna più di 40 mila euro.
Il problema è che la natura fiscale delle due misure è differente. Nel primo caso, fino a 28 mila euro di reddito, si tratta di un credito d’imposta. Nel secondo caso, invece, di una detrazione. Di conseguenza 1,5 milioni di lavoratori che possiedono una prima casa di proprietà che concorre alla formazione del reddito, rischiano di vedersi arrivare una lettera dall’Agenzia dell’Entrate che chiede di restituire (in tutto o in parte) l’importo della detrazione. Perché la detrazione si calcola sul reddito complessivo del lavoratore, immobili compresi. Ma questa informazione è sconosciuta alle aziende che fanno da sostituto d’imposta.
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