Uno studio europeo mette in dubbio l’efficacia delle mascherine? No! Spieghiamo il report dell’Ecdc
Un recente report dell’ECDC (European Center for Disease Prevention and Control), espone quanto emerso dai recenti studi riguardo alla capacità delle mascherine di ridurre la trasmissione del nuovo Coronavirus, non trovando niente che scoraggi l’uso di questi dispositivi, contestualizzandone il corretto uso. Per esempio, non scordando mai di rispettare la distanza di sicurezza e l’uso di lavarsi frequentemente le mani; specialmente se si frequentano luoghi pubblici chiusi. Nondimeno, il noto sito apprezzato dai complottisti Byoblu riporta quanto emerso dal report titolando «Arriva lo studio europeo che mette in dubbio l’efficacia delle mascherine». Il testo e il modo in cui è stato confezionato l’articolo semplifica il contenuto del report, col rischio di disinformare i lettori. In questo articolo cercheremo di restituire un po’ di contesto all’argomento.
Per chi ha fretta:
- L’uso di mascherine certificate abbinato alle norme di distanziamento sociale è coerente con quanto ci aspettiamo dai modelli SIR e con quel che è emerso dagli studi degli epidemiologi sulla diffusione delle malattie che si trasmettono per via aerea;
- Anche se è difficile stimare con precisione quanto i DPI possano ridurre la diffusione della pandemia, il recente report dell’ECDC non può escludere che sia il migliore dei metodi possibili, con effetti indesiderati rari e accettabili considerati i benefici;
- Chi vuole può criticare l’uso delle mascherine, ed è legittimo che si indaghi sui punti più controversi. Tuttavia se si vuole scoraggiarne l’impiego sarebbe il caso di presentare alternative migliori e con maggiori studi a supporto.
Analisi
Fin dall’introduzione del report ECDC, che serve a riassumerne il contenuto, il senso del documento ci sembra un po’ più complesso di come appare dal titolo di Byoblu. Parte constatando la necessità di ulteriori studi più ampi, che vadano oltre le conoscenze pregresse sulla prevenzione dell’influenza, e finisce constatando la compatibilità dell’uso di mascherine con le nostre conoscenze sulla diffusione delle epidemie. Insomma, abbiamo bisogno di nuovi dati per migliorarne l’efficacia e saperla stimare.
Dispositivi di protezione individuale e interventi non farmaceutici
Prima di proseguire forniamo alcune chiavi di lettura importanti. Fin dalla loro entrata in uso i dispositivi di protezione individuale (DPI) e gli interventi non farmaceutici (NPI), sono stati considerati una importante linea di difesa per il contenimento della pandemia di Covid-19. Da mesi sapevamo delle difficoltà, specialmente per quanto riguarda le mascherine, di ottenere ampi studi che ne misurassero con precisione l’efficacia. I DPI sono in generale tutti quesi dispositivi, come mascherine e guanti, che usiamo per proteggere gli altri dal nostro potenziale contagio, e/o per proteggere noi stessi dagli altri. Gli NPI possono essere strategie come quelle di lockdown o di distanziamento sociale, quindi vi rientra anche l’uso dei DPI. In generale sono tutte quelle azioni, che senza riguardare la somministrazione di vaccini o terapie, hanno lo stesso un effetto nel contenere il diffondersi di una malattia.
Perché l’ECDC raccomanda l’uso delle mascherine
Deduciamo l’utilità dei dispositivi di protezione individuale dagli studi degli epidemiologi, che da più di un secolo hanno affinato le nostre conoscenze sul modo in cui si diffondono le malattie, in questo caso quelle trasmissibili per via aerea. Un discorso analogo si può fare dal punto di vista delle norme igieniche da osservare, per esempio negli ospedali. Tutto questo si inserisce durante una epidemia nel più ampio contesto dei modelli SIR, che ci permettono di stimare come un determinato patogeno si potrebbe diffondere in assenza di alcun provvedimento da parte della popolazione. Ecco infatti le raccomandazioni dell’Ente indipendente europeo, dedotte dalle informazioni raccolte finora:
«Sebbene le prove sull’uso di maschere mediche nella comunità per prevenire la COVID-19 siano limitate, le maschere dovrebbero essere considerate un intervento non farmaceutico [NPI] in combinazione con altre misure come parte degli sforzi per controllare la pandemia di COVID-19».
«Tenendo conto delle prove disponibili, delle caratteristiche di trasmissione di SARS-CoV-2, della fattibilità e dei potenziali danni associati all’uso di vari tipi di maschere facciali, vengono proposte le seguenti opzioni: Nelle aree di trasmissione comunitaria della COVID-19, indossare una maschera facciale medica o non medica è consigliato in spazi pubblici ristretti e può essere considerato in ambienti esterni affollati».
«Per le persone vulnerabili a forme gravi di COVID-19, come gli anziani o le persone con problemi medici di base, l’uso di mascherine mediche è raccomandato come mezzo di protezione personale nelle suddette impostazioni. Nelle famiglie, si raccomanda l’uso di maschere mediche per le persone con sintomi di COVID-19 o confermata COVID-19 e per le persone che convivono in famiglia».
Diverse affermazioni dell’articolo in questione sui DPI sono ormai banali. Le mascherine di stoffa non mediche sono più difficili da testare sistematicamente rispetto a quelle standardizzate, come quelle chirurgiche. Anche sulle visiere non sono mancate le critiche, tuttavia vi sono evidenze di quanto possano essere d’aiuto, unite alle mascherine, in determinati contesti, per esempio negli ospedali, in special modo nei reparti di terapia intensiva, che abbiamo avuto modo di vedere direttamente in azione. Sarebbe il caso di trovare studi seri e piuttosto ampi che ne scoraggino l’uso, prima di toglierle agli operatori sanitari che devono avere a che fare coi pazienti Covid.
Le mascherine FFP2 proteggono di più o di meno?
Vi sono almeno due passaggi dell’articolo che ci sembrano un po’ imprecisi ed è il caso di spiegarli meglio, alla luce dello stesso documento dell’Ente europeo. Cominciamo dal primo sulle mascherine FFP2, che dovrebbero dare un certo grado di protezione anche a chi le indossa:
«“Sebbene queste mascherine abbiano una capacità di filtraggio maggiore rispetto alle altre e siano migliori rispetto alle mascherine mediche”, tuttavia l’effettiva protezione è stimata in “bassa”».
Dagli studi presi in considerazione nel report dell’ECDC, partendo dal fatto che vi sia nelle FFP2 una palese capacità filtrante, non si evincono particolari differenze di efficacia rispetto a quelle chirurgiche. Bisogna anche tener conto del fatto che le persone e i ruoli di chi le usa sono diversi; cambiano le situazioni e queste contano nel far variare le stime di efficacia.
«Un altro studio sperimentale sull’applicazione di un simulatore di tosse ha anche dimostrato che i respiratori erano più efficienti delle maschere mediche quando indossati dal manichino che tossiva e quando indossati dal manichino esposto – continua il report – L’efficacia era maggiore quando il respiratore era indossato dal manichino che tossiva e quando il respiratore era ben aderente. Anche l’efficacia era dipendente dalla distanza e dalla carica virale. La scelta di un respiratore adatto alla forma del viso di un utente (tipo e taglia) e l’addestramento per garantire che l’utente sappia come eseguire un controllo della tenuta prima dell’uso sono requisiti fondamentali affinché i respiratori siano efficaci».
Cosa sono gli «adverse effects» elencati nel report?
Si parla infine di «effetti avversi» associati alle mascherine. Questo termine viene spesso confuso. Ecco quanto riportato nell’articolo di Byoblu:
Lo studio in conclusione non dimentica di elencare gli effetti avversi dell’uso costante delle mascherine, tra i quali ansia, difficoltà respiratorie, eritemi e prurito.
Generalmente si parla di «eventi avversi» quando è sottinteso che si tratta di sintomi non riconosciuti come collegati al farmaco, o al dispositivo non farmaceutico. Gli «effetti indesiderati» invece, sono effettivamente connessi causalmente coi farmaci, o in questo caso, con l’uso di determinati dispositivi di prevenzione; tuttavia si tratta di «possibili effetti noti», considerati «accettabili» visto il contrappeso costituito dal beneficio che se ne ricava. Il report dell’ECDC parla di «potential adverse effects of face mask use». Possiamo tradurlo «potenziali effetti indesiderati delle mascherine». Questi effetti vengono descritti infatti come causalmente collegati ai dispositivi, ma solo per determinate persone e in particolari circostanze, in misura tutto sommato accettabile. Visto che tale contesto è andato perduto nell’articolo di Byoblu, riportiamo i punti salienti del documento in cui viene precisato (il grassetto è nostro):
«Le persone che indossano una maschera facciale possono percepire ansia e difficoltà a respirare. Questo può essere pronunciato nelle persone con malattie respiratorie sottostanti. Tuttavia, non ci sono prove che indossare una maschera facciale esacerbi malattie respiratorie o di altro tipo. […] Diversi studi hanno rilevato che non ci sono effetti fisiologici sostanziali nell’indossare una maschera facciale anche durante un esercizio fisico intenso».
«D’altra parte, ci sono molte segnalazioni di reazioni cutanee avverse, come eritema e prurito dovute all’uso prolungato […] la stretta aderenza di alcune maschere facciali spesso si traduce in una limitata tollerabilità, disagio e mal di testa».
I dubbi sull’efficacia delle mascherine
Facciamo notare anche un passaggio in cui gli autori del report si preoccupano – al netto dei presunti dubbi – del fatto che le mascherine potrebbero non bastare per tutti, ed evidenziano l’esigenza di affrontare tale problema:
«La disponibilità di mascherine mediche può essere limitata durante una pandemia. Questo può essere un serio ostacolo per l’attuazione delle politiche sulla maschera facciale nella comunità e deve essere affrontato».
Sul bilancio tra studi a pro e contro, i dubbi posti in essere trovano una dimensione più chiara e precisa – se leggiamo il report con attenzione – rispetto a come potrebbero essere interpretati altrove. Riportiamo un passaggio riferito alle mascherine non mediche:
«L’uso di maschere facciali non mediche è un’opzione ampiamente adottata e può affrontare con successo le questioni di disponibilità, costo e impatto ambientale. Sebbene non ci siano prove dirette che le maschere non mediche siano efficaci nel proteggere l’utente da COVID-19, i dati degli studi sperimentali mostrano che alcune maschere non mediche hanno caratteristiche di filtrazione simili a quelle delle maschere mediche e che sono ugualmente efficaci nel ridurre il rilascio di goccioline respiratorie nell’ambiente».
Vale a dire, che ansia, difficoltà respiratorie, prurito o eritemi, non risultano essere – in questo contesto – le prime avvisaglie di problemi gravi legati alle mascherine. Parliamo di un fastidio infinitesimo – che potrebbe manifestarsi in determinate circostanze, spesso evitabili – rispetto a quello provato ogni giorno dai pazienti Covid in terapia intensiva, magari contagiati da qualcuno che informandosi male sul Web, comincia a preoccuparsi di non buscarsi un eritema.
Conclusioni
Il report nel suo insieme non mette in dubbio l’efficacia delle mascherine in assoluto. Si sostiene, che malgrado sia fisiologicamente difficile avere studi esaustivi (visto che dovremmo considerare grandi fasce di popolazione e tipologie diverse di dispositivi, fattori e situazioni), l’uso di mascherine unite al distanziamento sociale, è il migliore dei metodi conosciuti per far fronte a un virus che si diffonde per via aerea, da tre a quattro volte meglio di quelli influenzali. Forse non è un caso se la stessa influenza quest’anno non viene più rilevata dai laboratori deputati alla sorveglianza, come ci spiegava l’infettivologo Stefano Zona in una recente intervista. Chi sostiene che i benefici sociali dell’uso di mascherine siano irrilevanti rispetto ad alcuni inconvenienti occasionali e individuali, dovrebbe presentare delle alternative, meno pervasive, e con maggiori studi a supporto. Non ci resta che attendere di leggerli.
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Foto di copertina: OrnaW | Mascherina.
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