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Con la variante «inglese» i bambini rischiano di contrarre forme più gravi di Covid? Ecco cosa sappiamo

27 Febbraio 2021 - 07:45 Juanne Pili
Secondo i pediatri britannici non è dimostrato un collegamento tra varianti e casi gravi nei minori

Un gruppo di medici del King’s College ha pubblicato il 10 febbraio un articolo su The Lancet, dove suggeriscono come la presenza della variante «inglese» (B.1.1.7) non mostri di rendere il nuovo Coronaviruspiù pericoloso nei bambini. SARS-CoV-2 in generale non ha mai rappresentato una significativa minaccia per i bambini, salvo alcuni rari casi di MIS-C, una sindrome infantile che secondo alcuni studi preliminari, sarebbe associata alla Covid-19. Eppure tra prima e seconda ondata è stato registrato un incremento dei casi in bambini e adolescenti. Ecco quali sono le spiegazioni più plausibili secondo gli esperti britannici.

La ricostruzione dei medici del King’s College

Fino al marzo 2020 nell’Ospedale londinese erano stati registrati 20 casi di minori positivi alla Covid. Tra novembre e febbraio 2021 se ne contavano già 60. Se ipotizziamo che le varianti Covid possano avere incrementato la pericolosità del virus, gli indizi potrebbero trovarsi in questo incremento nei bambini? Si tratta di un campione piuttosto ridotto. Stando ai dati esaminati dagli autori dell’articolo, questo aumento dei ricoveri infantili si spiegherebbe meglio con una maggiore presenza del virus durante la seconda ondata, senza riscontrare però un nesso causale tra varianti Covid e aumento della gravità della malattia nei ragazzi.

«Non sono state trovate differenze significative per età e proporzione di pazienti con comorbidità tra i due gruppi. La presenza di casi gravi che necessitavano di ossigeno o supporto ventilatorio è stata bassa in entrambe le “ondate”, ed è risultata minore rispetto al totale dei ricoveri nella seconda rispetto alla prima». 

«Infatti è aumentato di un terzo anche il numero di pazienti adulti ricoverati nell’ospedale. […] La Covid-19 grave rimane un evento poco comune nei bambini e nei giovani».

Non è dimostrato che la variante inglese causi un aumento di forme gravi nei bambini

Gli autori dell’articolo citano anche un precedente comunicato del Royal College of Paediatrics and Child Health, dove il presidente dell’Associazione Russell Viner afferma:

«I reparti per bambini sono solitamente occupati in inverno. Al momento non stiamo assistendo a una pressione significativa da COVID-19 in pediatria in tutto il Regno Unito. Con l’aumento dei casi nella comunità, ci sarà un piccolo aumento nel numero di bambini che vediamo con COVID-19, ma la stragrande maggioranza dei bambini e dei giovani non presenta sintomi o presenta solo malattie molto lievi. La nuova variante sembra interessare tutte le età e, al momento, non stiamo assistendo a una maggiore gravità tra i bambini e i giovani».

Il contesto nel quale i medici dell’Ospedale londinese hanno raccolto i dati è quello in cui – secondo alcune stime preliminari – la variante inglese riguarderebbe il 70% dei casi Covid-19. Sono stati quindi confrontati i dati sui minori positivi tra prima e seconda ondata, per vedere se emergevano maggiori evidenze di un nesso causale tra questa presunta prevalenza della variante e un incremento dei casi gravi in bambini e ragazzi.

«È importante sottolineare che non abbiamo trovato prove di [casi] più gravi verificatisi nei bambini e nei giovani durante la seconda ondata – concludono i medici – questo suggerisce che l’infezione con la variante B.1.1.7 non si traduce in un decorso clinico sensibilmente diverso dal ceppo originale».

Foto di copertina: Tumisu | Covid-19 in bambini e ragazzi.

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