La stangata per i club di Serie A: perché ora gli sconti fiscali per i campioni dall’estero rischiano di sfumare
La partita sul regime fiscale speciale per gli sportivi professionisti che si trasferiscono in Italia rischia di finire ai supplementari e, se non si interviene rapidamente, con una sconfitta per il martoriato settore dello sport e, forse, del sistema Italia nel suo complesso. La problematica ruota attorno alla disciplina prevista dal D.lgs. n. 147/2015 (modificato dal D.L. 34/2019). Si tratta del particolare regime tributario applicabile ad atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici che operano nelle discipline professionistiche riconosciute dal CONI (calcio, basket, ciclismo, golf) e che, residenti per almeno due anni all’estero, decidono di spostare la residenza fiscale in Italia per svolgervi la propria attività lavorativa.
Per questi soggetti, i redditi derivanti dall’attività lavorativa svolta in Italia non concorrono alla formazione del reddito complessivo ai fini dell’Irpef nella misura del 50%. Le ricadute fiscali sono positive anche per le società sportive che possono contrattualizzare più agevolmente gli sportivi, sia italiani che stranieri, provenienti dall’estero in ragione di una cospicua riduzione del “cuneo fiscale”. L’adesione al regime comporta il versamento di un “contributo” pari allo 0,5% della base imponibile, destinato al sostegno dei settori giovanili delle Federazioni sportive di appartenenza. Le modalità di versamento di questo contributo e i connessi adempimenti sarebbero dovuti essere disciplinati da un Dpcm, su proposta dell’autorità di Governo delegata per lo sport e di concerto con il MEF.
L’assenza del Dpcm per oltre un anno e mezzo
Senonché, dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni agevolative avvenuta alla fine di giugno del 2019, del DPCM non si è vista traccia per circa un anno e mezzo. E ciò nonostante il mondo dello sport professionistico abbia fatto sin da allora – giustamente – affidamento sulla piena operatività della normativa primaria che ha permesso di portare in Italia i talenti dello sport ma anche molte figure tecniche che operano nel settore. Nel frattempo, si è invece registrato l’intervento – spiace dirlo – “a gamba tesa” dell’Agenzia delle entrate che, nella circolare n. 33 del 28 dicembre 2020, ha assunto la posizione (discutibile per varie ragioni in punto di diritto) per cui, in assenza del Dpcm, gli incentivi sarebbero inapplicabili tout court. Con buona pace di chi (imprese e individui) ha seguito le istruzioni alla dichiarazione dei redditi per il 2019 precedentemente rilasciate dalla stessa Agenzia delle entrate che, invece, ne confermavano espressamente l’applicazione.
Insomma, un pasticcio. Certo, si potrà obiettare che, in un anno di pandemia, il nostro legislatore e le altre autorità coinvolte abbiano avuto ben altro di cui occuparsi, ancorché l’utilizzo frequente della decretazione ministeriale avrebbe fatto ben sperare. Vero, ma qui il punto è un altro. Non si discute, infatti, di fare in fretta per agevolare una particolare categoria di contribuenti (peraltro già penalizzati rispetto al regime ordinario per i lavoratori “impatriati”), ma di dare concretezza a quel tanto sbandierato – e allo stesso modo spesso inapplicato – principio di certezza del diritto che invece dovrebbe essere il faro da seguire sempre, a prescindere dalle categorie coinvolte.
Il Dpcm arriva al termine dei tempi regolamentari
Ecco quindi che nei giorni scorsi l’agognato Dpmc sembra essere arrivato. Sembra, perché, come si scriveva, il rischio è quello di andare ai tempi supplementari ancora una volta per due principali motivi. Il DPCM, che risulta bollinato, non è infatti ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Inoltre, dalla lettura del testo di legge, per i rapporti lavorativi già in essere nel 2019 vi è una scadenza da non perdere fissata per il prossimo 15 marzo. Entro questa data è previsto il versamento dei citati contributi nella misura della 0,5% della base imponibile. Nell’interim si attende però sia il provvedimento istitutivo del codice tributo per il versamento tramite F24 sia la predisposizione dell’apposita sezione per la comunicazione online. Infatti, “contestualmente al versamento”, i “soggetti optanti” devono comunicare al Dipartimento per lo Sport sul sito istituzionale l’adesione al regime agevolato, la somma versata, i propri dati identificativi, quelli del datore di lavoro e della federazione sportiva di appartenenza.
La questione va quindi attentamente seguita nel corso delle prossime settimane anche perché l’eventuale omesso o insufficiente versamento comporta la decadenza dal beneficio e l’applicazione delle “debite conseguenze di legge” (leggasi: sanzioni). Peraltro, i soggetti tenuti a versare il contributo sarebbero gli stessi sportivi, non le società sportive datrici di lavoro come pure ci si poteva attendere dalla formulazione generica delle norme. A regime il versamento del contributo dovrà essere fatto entro il termine per il saldo dell’Irpef relativa al periodo di imposta di riferimento (per il 2020, il 30 giugno 2021, salvo proroghe).
Al di là di questa tematica contingente, ad uno sguardo più attento, la regola secondo cui chi non versa correttamente il “contributo” decade dall’agevolazione pone non poche problematiche anche per il futuro. Si pensi al caso in cui, alla scadenza del termine per il versamento, lo sportivo professionista sia tesserato con un’altra squadra o addirittura si sia ritrasferito all’estero. Uno scenario di grande incertezza di cui nessuno sentiva il bisogno: ha senso creare panico e seminare incertezza in un momento così delicato per tutto lo sport professionistico, già indebolito pesantemente dalle misure di prevenzione della pandemia?
Immagine copertina di Lukas Blazek su Unsplash
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