Il giorno più sanguinoso in Myanmar, scontri tra la polizia e i manifestanti: almeno 18 morti per le proteste contro il golpe dei militari
Barricate, spari e cariche della polizia: non si fermano gli scontri in Myanmar e neppure le repressioni da parte della polizia, che si fanno sempre più violente. Il bilancio dell’ultimo giorno di manifestazioni e proteste è pesante: sono almeno 18 le persone morte. Più di qualsiasi altro giorno di proteste dal golpe con il quale l’esercito guidato dal generale Min Aung Hlaing ha preso il potere, spodestando il governo democraticamente eletto a novembre.
La repressione
Secondo l’ufficio per i diritti umani dell’Onu le forze di sicurezza sono intervenute in modo violento – sparando anche proiettili veri – contro i manifestanti che protestavano in modo pacifico in diverse città del Paese, da Mandalay a Rangoon. Stando ai dati di un’associazione locale per i prigionieri politici (AAPP), sono state arrestate almeno 270 persone. Il totale dall’inizio del golpe è molto più alto: 1.132 arresti.
February 28, 2021
Domenica i manifestanti sono scesi in strada chiedendo non solo il ripristino del governo democraticamente eletto ma anche l’abolizione della Costituzione del 2008 che assegna automaticamente all’esercito tre ministeri chiave e il 25% dei seggi in Parlamento e in nome della quale l’esercito ha dichiarato lo stato di emergenza per un anno.
L’appello dell’Onu
In serata è arrivata anche la condanna del segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres che si è detto «profondamente turbato dall’aumento di morti e feriti gravi». «L’uso della forza letale contro manifestanti pacifici e gli arresti arbitrari sono inaccettabili», si legge in una nota ufficiale in cui la comunità internazionale viene invitata a inviare un chiaro segnale ai militari che devono rispettare la volontà del popolo birmano. Nel corso dell’ultimo mese gli Stati Uniti di Joe Biden hanno introdotte sanzioni mirate nei confronti di alcuni militari coinvolti nel golpe e anche l’Unione europea, stando a una dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri europei, ci starebbe pensando.
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