Chiudere tutte le scuole in zona rossa? Giannelli: «Decisione drastica, ma evidentemente è necessaria» – L’intervista
Il primo Dpcm del governo Draghi con le misure di contrasto all’epidemia di Coronavirus deve subito affrontare scelte divisive che riguardano la scuola. A presentare il provvedimento in conferenza stampa non è stato direttamente il premier, ma i ministri Roberto Speranza (Salute) e Maria Stella Gelmini (Affari regionali), assieme al presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro e al presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli. La stretta, su indicazione del Cts, consiste nel chiudere automaticamente tutti gli istituti nelle regioni o nelle zone rosse, oltre che nel dare ai governatori la possibilità di farlo nelle aree in cui a livello locale si raggiungono per una settimana 250 casi ogni 100 mila abitanti.
«I parametri mi sembrano più restrittivi, la discontinuità sta nella scelta di voler chiudere anche il primo ciclo nelle zone rosse. Ciò significa che le scuole passeranno alla Didattica a distanza che, pur con i suoi limiti, garantisce il servizio di istruzione e il mantenimento della relazione educativa con tutti gli studenti, anche i più piccoli di età», dice a Open Antonello Giannelli, presidente nazionale dell’Associazione nazionale presidi (Anp).
Le sembra opportuno chiudere automaticamente gli istituti nelle regioni rosse?
«Non è sicuramente una decisione presa a cuor leggero, evidentemente i dati in possesso delle autorità preoccupano e inducono a prendere una decisione drastica».
E come valuta il criterio per cui in aree di colore diverso (arancione o giallo) verrà data facoltà a governatori e sindaci di decidere la chiusura delle scuole, qualora si raggiungano 250 casi positivi ogni 100 mila abitanti per una settimana? Non si rischia di penalizzare le regioni che fanno più tamponi?
«Ho già detto che i criteri di scelta devono essere chiari e uniformi su tutto il territorio nazionale per non creare disparità di scelte e garantire l’unitarietà del sistema d’istruzione».
All’Associazione nazionale presidi il governo ha fornito dati aggiornati sull’andamento dei contagi nelle scuole?
«Non abbiamo dati diversi da quelli che si leggono sui giornali».
In Puglia il professor Pier Luigi Lopalco afferma che le scuole sono «un forte volano della circolazione del virus». Come commenta affermazioni di questo tipo?
«Le scuole finora sono stati luoghi sicuri nei quali si rispettano le regole e il distanziamento. Il problema era semmai fuori dalle scuole, per esempio sui mezzi di trasporto. Certo se è vero, come dicono, che per la nuova variante inglese non è sufficiente il metro di distanza, allora forse qualcosa da rivedere c’è a livello di protocolli».
In Emilia-Romagna a febbraio i contagi tra bambini, ragazzi, insegnanti e personale della scuola – dagli asili nido alle superiori – sono cresciuti del 70% rispetto a gennaio. L’unica soluzione è chiudere o si può pensare piuttosto a modificare i protocolli di sicurezza? E in che modo andrebbero rafforzati?
«Aspettiamo di vedere le indicazioni del Cts. Solo allora capiremo se sarà necessario applicare protocolli diversi da quelli fino ad oggi utilizzati. Va da sé che sarebbe quanto mai auspicabile l’accelerazione del piano vaccinale che coinvolge il personale della scuola».
Secondo Save the Children, a un anno dall’inizio della pandemia, bambini e adolescenti di tutto il mondo hanno perso in media 74 giorni di istruzione ciascuno, più di un terzo dell’anno scolastico medio globale di 190 giorni. E gli studenti italiani si sono trovati a frequentare i loro istituti anche per molto meno della metà dei giorni teoricamente previsti, soprattutto al Sud. Un fallimento per tutto il sistema Paese?
«Ricordo che siamo in piena pandemia. I dati diffusi riguardano soprattutto il secondo ciclo sul quale, se fallimento c’è stato, non è dipeso dalle scuole ma dai trasporti e dal tilt del tracciamento. Ora è tempo di quantificare non solo i giorni perduti in presenza – ricordiamo che le scuole non si sono mai fermate e hanno accompagnato gli studenti a distanza – ma gli apprendimenti. Occorre per questo rilevare tali perdite tramite strumenti scientifici e oggettivi – le prove Invalsi, ad esempio – che permettano alle scuole di intervenire in modo mirato per il recupero degli apprendimenti stessi».
In che modo il governo dovrebbe sostenere le famiglie che lavorano e che dovranno badare ai figli a casa?
«Già in precedenza sono state adottate misure a tutela e sostegno delle famiglie con alunni impegnati nella didattica a distanza e riteniamo che nell’ipotesi di chiusure generalizzate il governo saprà venire incontro alle loro esigenze».
Foto di copertina: ANSA/FILIPPO VENEZIA | Le scuole elementari Passo Gavia chiuse per l’entrata in zona arancione rafforzata a Brescia
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