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Covid, il direttore dell’Spdc del Martini di Torino: «Così gestiamo l’emergenza tra i pazienti psichiatrici» – Il video

Dentro il Covid Hospital di Torino, il Martini, c'è un reparto interamente dedicato alla cura dei pazienti psichiatrici positivi al Coronavirus. Medici e operatori sanitari hanno raccontato a Open come stanno facendo fronte all'epidemia

«L’universo è in equilibrio. Ciononostante esistiamo». Le mura del reparto Spdc dell’Ospedale Martini di Torino – il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura – sono piene di versi scritti dai pazienti che lo hanno abitato. Da quando il nosocomio si è convertito integralmente in struttura Covid, a novembre 2020, le poesie si fanno ancora più largo tra i corridoi e si investono di un’aura quasi profetica. «Le catastrofi ci ricordano chi siamo», ha scritto qualcuno, in rosso, nel 2014. «Rendo lode ai giorni in cui sono affranta / perché non trovo le parole per descrivere la gioia».

Tra tutti i temi e le difficoltà raccontate nei mesi di pandemia, quelle dei malati psichiatrici positivi al Covid-19 sono rimaste nell’ombra. Le strutture unicamente dedicate alla loro assistenza in Italia sono pochissime: tra queste, oltre a quella di Torino, c’è quella di Milano al Niguarda e, per un breve periodo, ce n’è stata una a Pesaro, nelle Marche. Eppure il tema dei pazienti positivi paucisintomatici o asintomatici di questo tipo – che non possono né rimanere nelle case di cura con i negativi, né finire nei letti destinati ai malati più gravi – non è di secondaria importanza. «Non sempre si tratta di persone collaboranti e necessitano un’attenzione speciale per evitare che si inneschino dei cluster nelle aree “pulite” delle strutture», racconta il direttore responsabile del reparto psichiatrico del Martini Giorgio Gallino.

Il modello Torino

Vincenzo Monaco per Open

Per evitare al massimo i rischi di contaminazione, il dottor Gallino e il direttore sanitario della struttura, Michele Morandi, hanno riservato un’intera regione ospedaliera alla loro cura, trasferendo lì tutti i pazienti positivi provenienti dai vari Spdc e case di cura. «A novembre, con l’esplosione della seconda ondata, la regione Piemonte ha deciso che il Martini sarebbe diventato uno degli ospedali interamente Covid», spiega Gallino. «A quel punto anche la giunta si è resa conto che esisteva una questione specifica relativa ai pazienti psichiatrici positivi, i quali però non presentavano sintomi così importanti da dover essere ricoverati». La necessità di dedicargli uno spazio a parte era ormai innegabile: dal momento dell’apertura, la degenza media è stata di 6/7 pazienti, quasi sempre adulti, su una capienza complessiva di 10 posti letto.

L’assistenza giorno per giorno e le difficoltà del caso

«I pazienti psichiatrici che entrano al Martini sono spesso accomunati solo dalla positività al Covid», spiega la dottoressa Claudia Rizzolio, responsabile del reparto. «Dal punto di vista psichiatrico e dell’età sono molto diversi: spaziano dai 20 agli 85 anni, e hanno patologie diverse come depressione, disturbo bipolare o psicosi». «Dopo aver speso molto tempo a lavorare sui progetti di rete di integrazione – racconta Gallino -, abbiamo dovuto interrompere tutti i progetti di riabilitazione a causa dell’isolamento imposto dalla malattia».

Vincenzo Monaco per Open

«Il nostro rapporto con i pazienti è sempre stato molto forte», dice la responsabile infermieristica del reparto Cinzia Bellinato. «In condizioni normali avviamo progetti di tutti i tipi, dall’arte terapia alla pet therapy, che ora però abbiamo dovuto interrompere. Anche non poter avere un’interazione fisica con loro complica non poco il lavoro». Dal punto di vista puramente clinico, uno dei grandi vantaggi di avere un reparto all’interno di un Covid Hospital è la possibilità di trasferire rapidamente i pazienti nelle aree che si occupano di sintomatologie più importanti. Al 24 febbraio, i pazienti ricoverati nell’Spdc erano 2, per un totale di 53 fin dall’apertura. Una cifra attualmente bassa, ma sempre in bilico e soggetta a picchi improvvisi: «Recentemente – ha sottolineato Gallino – ci è capitato di ricevere 4 o 5 pazienti insieme da Spdc che poi hanno chiuso a causa dei cluster».

Vincenzo Monaco per Open

La struttura della Asl serve circa la metà della popolazione della Regione – pari a quasi 2 milioni di persone – e a dover essere reattivo non è solo il comparto dell’Spdc, ma il nosocomio intero. Tanto che, come spiega don Peppe (il parroco del Martini) anche la cappella dell’ospedale è ormai chiusa per utilizzarla, se serve, come spazio per ulteriori letti di rianimazione. Sulle pareti del piccolo ritrovo religioso si vedono le prese dell’ossigeno. «Cerco di dare conforto girando per i reparti», dice don Peppe. L’altarino è coperto da un telo bianco. Nessuno, tantomeno lui, sa ancora per quanto.

Video e montaggio: Vincenzo Monaco

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