Sanremo 2021, cinque serate per cinque ricordi. Quando l’orchestra si rivoltò contro Pupo ed Emanuele Filiberto (tifando Malika Ayane)
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Correva l’anno 2010. Valerio Scanu vinceva la 60esima edizione del Festival di Sanremo con la canzone Per tutte le volte che. Ma a fare notizia fu (anche) la rivolta dell’orchestra contro il trio composto da Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici, arrivati secondi con l’indimenticabile (si fa per ridere) Italia amore mio. Galeotto fu il televoto che ribaltò il giudizio dei musicisti destinato a incidere al 50% sul risultato finale, provocando l’eliminazione di Malika Ayane con Ricomincio da qui, vincitrice poi del premio della critica intitolato a Mia Martini. Insomma: l’eterno dissidio sociologico tra elitarismo e gentismo, tra il giudizio dei professionisti e il sentiment delle masse in salsa Ariston.
Non era mai successo nella storia del Festival che l’orchestra contestasse così il televoto: platealmente, con tanto di fischi, spartiti gettati a terra, ingresso in sala dei carabinieri. Tutto molto scenografico, comunque. Memorabili anche l’improvvisa sparizione del direttore di Rai 1, Mauro Mazza, e l’imbalsamato contegno della conduttrice Antonella Clerici, che per placare la rivolta dichiarò: «Esistono delle regole, c’è il televoto del popolo sovrano».
Dopo l’esibizione del contestato trio, fu sempre lei a chiedere a Emanuele Filiberto cosa si provasse a ricevere dei fischi. E il principe, autore insieme a Pupo di un testo che nelle intenzioni voleva essere una lettera d’amore all’Italia da parte del rampollo di Casa Savoia, impossibilitato fino al 2002 a mettere piede sul territorio nazionale per via della XIII disposizione finale della Costituzione, rispose: «È uno stimolo per andare avanti, sono sempre più convinto che questa sia una bella canzone per tutti». E Pupo si accodò: «In tanti anni non ho mai sentito una contestazione così inspiegabile, ma la rispetto».
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