Achille Lauro e le accuse di queerbaiting. La comunità Lgbtq+ si divide: «Così strumentalizza il nostro mondo»
Può Achille Lauro essere accusato di queerbaiting? La domanda arriva direttamente dal dibattito pubblico: dopo le esibizioni dell’artista al Festival di Sanremo, la comunità Lgbtq+ ha aperto la discussione sul cantante. Applaudito per aver portato la fluidità di genere in un contesto da sempre tradizionale. Elogiato per la creazione dei suoi “quadri“, omaggi ai generi musicali e al sentirsi sessualmente liberi di essere quello che si vuole, lontani da stereotipi e paletti culturali. Ma per alcuni la questione assume toni diversi. E qui entra in gioco il queerbaiting, inteso come l’adescamento del pubblico Lgbtq+ e l’illusione insita nel far vedere all’interno di un prodotto d’intrattenimento relazioni o comportamenti omosessuali senza però mai mostrarli per davvero.
Dal mainstream al dibattito pubblico: chi è Achille Lauro?
L’argomento ha due piani di lettura. Il primo, quello del mainstream, dello spettacolo televisivo, del personaggio che si traveste di piume e partecipa a un programma nazional-popolare. «In questo caso il problema è un non-problema», racconta Daniele Biaggi a capo di Quid, piattaforma di informazione e cultura Lgbtq+. «Lauro porta avanti istanze interessanti su cos’è la mascolinità tossica e come abbatterla. Ma anche sul patriarcato e su un nuovo modo vedere di vedere sessualità. Sta facendo una cosa utile? Sì».
Se poi si sposta la lente, a essere messo a fuoco è il cuore della comunità Lgbtq+. In quel caso, «lui si sta appropriando di un immaginario che gli appartiene fino a un certo punto». E perché? «Qui il tema è molto divisivo. C’è chi dice “ok, mi sta bene quello che porta in scena”. C’è invece una fetta della comunità che non accetta il suo atteggiamento volutamente ambiguo». Achille Lauro, ad oggi, non ha mai fatto coming out. «A meno che definirsi fluido sia considerato tale, ma per me è un po’ debole», spiega Biaggi. «Se fosse così, allora possiamo ambire a qualcosa di più».
Al di fuori del palco dell’Ariston, dei videoclip, «per quanto ne sappiamo è un personaggio eterosessuale e che quindi si può permettere una serie di provocazioni che non sarebbero concesse a un omosessuale, o peggio a una donna che sarebbe vittima di critiche più marcate. Lui occupa una posizione e in realtà lo fa con un grado di esposizione che gli consente di mantenere un privilegio, in virtù del fatto che non ha ancora mai fatto chiarezza sulla sua identità sessuale».
Non avere un’identità definita dà più potere? «Per me sì», dice Biaggi. «Nel mondo dei media si parla di quote di rappresentazione: il fatto che quella quota nel Festival sia già occupata da Lauro, mi fa sorgere dei dubbi». E ancora: «Se non si fosse dichiarato fluido, avrebbe avuto questa risonanza? Si sta arrogando un privilegio che forse non gli appartiene più di tanto. Ma poi Lauro nel resto dell’anno che fa? Per quali cause del mondo Lgbtq+ si spende? Puoi rubare alla nostra comunità, strumentalizzare l’omosessualità o la bisessualità, però poi ti spendi per la causa».
Lauro e il legame con Gucci
C’è, poi, il legame solido di Achille con la casa di moda Gucci, guidata dal creativo Alessandro Michele. «Lauro dovrebbe spendersi esattamente come Gucci, marchio con il quale condivide alcune battaglie – dice Biaggi – nel portare avanti quello in cui crede. E se la casa di moda lo fa con le sue politiche interne e le passerelle, lui dovrebbe farlo con la musica. Non basta farsi sponsorizzare gli abiti». Il sodalizio tra i due va avanti da molto, tanto che lo stilista ha firmato l’intero guardaroba del cantante all’ultimo Festival. Da quando nel 2015 Michele è stato nominato direttore della maison, la politica è sempre stata chiara: stile eccentrico, citazionista, unico con una forte tendenza al genderless. Michele ha saputo così intercettare i cambiamenti sociali, incentivando il superamento degli stereotipi di genere e la libera espressione della propria individualità.
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