Myanmar, almeno nove dimostranti uccisi nelle proteste. Nuove accuse per Aung San Suu Kyi
Almeno nove manifestanti sarebbero stati uccisi e otto feriti nell’ennesimo giorno di scontri e di proteste in Myanmar dopo il golpe militare avvenuto il 1 febbraio. Le vittime nel Paese sarebbero almeno 60 mentre, stando ai dati del gruppo di monitoraggio Assistance Association for Political Prisoners, dall’inizio del golpe oltre 2 mila persone sono state incarcerate. Gli ultimi scontri sono avvenuti nella città di Myaing, nel centro del Paese dove, secondo un testimone, cinque delle vittime sono state uccise con un colpo alla testa. A Yangon, capitale economica del Paese, ad essere ucciso è stato un ragazzo di 25 anni. Le altre uccisioni sono avvenute a Mandalay, dove a perdere la vita è un trentenne e a Bago, città a nord-est di Yangon.
Le morti di oggi si sommano a quelle degli altri giorni. Lunedì – giorno di sciopero in tutto il Paese – almeno due manifestanti sono stati uccisi a Myitkyina, città al nord del Paese nota anche per il tentativo disperato di alcune suore di far leva sulla pietà dei soldati e evitare così altre uccisioni. I giovani continuano ad essere tra le categorie più colpite. Come riporta il New York Times, nei giorni scorsi a Mandalay l’esercito ha preso d’assalto anche i campus universitari di diversi atenei nella città.
Nel frattempo a distanza di circa due settimane dall’inizio del processo segreto ad Aung San Suu Kyi, accusata in un primo momento di aver importato illegalmente dei walkie-talkie e di aver violato le norme sul Coronavirus, la giunta militare ha formulato nuovi capi di accusa nei confronti dell’ex leader del Myanmar. Secondo il regime infatti Suu Kyi avrebbe preso circa 600 mila dollari e 11 chilogrammi d’oro in pagamenti illegali su cui la commissione anti-corruzione starebbe ora indagando.
L’Onu si schiera ma non minaccia nuove sanzioni
A fronte della repressione violenta del dissenso da parte della giunta militare le Nazioni Unite, tramite il loro segretario generale Antonio Guterres, sono tornate a fare pressione a parole sul regime guidato dal generale Min Aung Hlaing. «È assolutamente essenziale rispettare i risultati delle elezioni e consentire una transizione democratica – ha dichiarato Guterres -. I militari prendano coscienza del fatto che è assolutamente essenziale liberare tutti i prigionieri». I
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha chiesto all’unanimità che in Myanmar si torni alla situazione precedente al colpo di stato militare, ma non ha annunciato sanzioni nei confronti della giunta militare del Paese, come invece era previsto in un documento iniziale al quale si sono però opposti Cina, Russia, India e Vietnam. Per il portavoce dei militari al potere però «la situazione nel nostro Paese non è tale da dover destare preoccupazione internazionale». «Rispettiamo le opinioni di tutti – ha aggiunto -, ma noi andremo avanti per la nostra strada verso nuove elezioni».
Nel frattempo, qualche ora prima l’amministrazione americana guidata da Joe Biden ha annunciato un nuovo round di sanzioni mirate nei confronti di Hlaing e della sua famiglia mentre anche l’Unione europea sta lavorando ad altre sanzioni in grado di intaccare direttamente gli interessi economici dei militari a capo del Paese.
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