Terapie intensive oltre la soglia critica del 30%: «Dato sottostimato: i letti disponibili sono molti di meno»
A un anno dallo scoppio della pandemia di Coronavirus, da lunedì quasi tutta l’Italia tornerà in zona rossa. L’aumento dei contagi e dei ricoveri ha fatto tornare alta l’attenzione sulle terapie intensive. Dopo la seconda ondata dei mesi di ottobre novembre, e una decrescita avuta nei mesi di dicembre e gennaio, gli ospedali sono nuovamente sotto pressione. Secondo il report dell’Iss a livello nazionale il tasso di occupazione delle terapie intensive ha superato la soglia critica del 30%, arrivando al 31%. Dati che continuano a rimanere elevati nonostante il potenziamento delle terapie intensive avvenuto nell’ultimo anno. Infatti, dopo i primi interventi immediati di risposta all’emergenza, con il decreto cura Italia viene deciso di stanziare 1,4 miliardi di euro per il 2020 per potenziare il sistema sanitario. L’obiettivo è quello di incrementare le terapie intensive da 5.179 a 8.679.
14 posti letto ogni 100mila abitanti
«Durante la prima fase dell’emergenza, la disponibilità di posti letto di terapia intensiva è cresciuta del 63% rispetto alla dotazione pre-emergenziale. Al 29 aprile 2020, ben 13 regioni avevano incrementato la propria disponibilità di letti in terapia intensiva in misura maggiore del 50%, superando quindi il valore previsto dalla circolare del Ministero della Salute del 1° marzo», spiega a Open Eugenio Di Brino, ricercatore per l’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (ALTEMS). Ad aprile 2020 dunque le terapie intensive disponibili in Italia erano 8.241, ma a ottobre dello stesso anno il numero è sceso a 6.458. L’obiettivo del governo era quello di garantire a ogni regione 14 posti letto ogni 100 mila abitanti. Obiettivo che, secondo i dati forniti dalle singole Regioni, e diffusi dall’Agenzia Nazionale per i Servizi regionali è stato raggiunto. Sono infatti solo quattro le Regioni, Calabria, Campania, Sardegna e Molise, a essere rimaste sotto la soglia prevista.
A oggi in Italia, stando ai dati ufficiali, ci sono 9.048 terapie intensive, di cui 2.859 sono occupate dai pazienti Coronavirus. Tuttavia, «i dati non sono veritieri», spiega Carlo Palermo, segretario di Anaao Assomed. «Molti dei posti letto disponibili che risultano attivi sono in realtà da attivare, e non è cosi facile». Quando si indicano più di 9 mila letti in terapia intensiva «si deve chiarire che circa 3.500 sono solo sulla carta, attivabili in condizioni critiche e non immediatamente». Emblematico, dice, è il caso del Veneto. «È inverosimile che abbia mille letti già attivi. Se fosse cosi avrebbe dovuto assumere almeno mille infermieri», spiega Palermo osservando come il tasso di occupazione delle aree critiche in Italia è quindi molto superiore al 30%. I calcoli dell’Iss vengono fatti anche sui letti non ancora attivati: «Quelli subito disponibili sono molti di meno».
La disponibilità di rianimatori e anestesisti
Il cortocircuito è strettamente collegato anche al numero disponibile degli anestesisti. Due indicatori che non sono andati di pari passo. Al 16 ottobre, il report prodotto da Altem segnalava come prima dell’emergenza per ogni posto letto c’erano 2,5 unità di personale. Con l’incremento dei posti il rapporto è sceso a 1,6. All’8 marzo, la disponibilità di operatori sanitari formati continua a essere limitata con Veneto, Emilia-Romagna, Basilicata e la Provincia Autonoma di Bolzano che presentano l’indicatore più basso d’Italia con 1,2 anestesisti e rianimatori per posto letto.
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