Danni collaterali – Gli studenti italiani vittime del digital divide: «Il Covid ha accentuato le povertà educative»
«Tremavo tremendamente per l’emozione», sussurra Gustavo, sorridendo, al termine dell’intervista. È la prima volta che parla davanti a una telecamera. Distoglie lo sguardo per firmare il disegno che ha appena realizzato nello Spazio Pinocchio, un centro polifunzionale della rete Giambellino. Poi si infila il giubbotto per tornare a casa con suo padre, Quispe, e sua madre, Manuela. Lui è nato qui, mentre i genitori sono arrivati a Milano, dal Perù, una ventina di anni fa: le lauree e i titoli di studio ottenuti in Sud America non gli sono stati riconosciuti e hanno dovuto rifarsi una vita. Dopo qualche tempo, entrambi sono riusciti a trovare un lavoro. Fino a quando, con la pandemia, lei ha perso l’occupazione.
L’aiuto offerto delle associazioni che operano nella periferia Ovest di Milano si è rivelato fondamentale per resistere alle sfide che il Coronavirus ha imposto alla loro famiglia: «La rete solidale è stata il riscatto della società italiana durante la pandemia», racconta Manuela. Pacchi alimentari, sostegno psicologico e il doposcuola per Gustavo, «soprattutto nella materia di inglese», sono i servizi che hanno permesso ai tre di andare avanti in questo periodo. «Per fortuna Spazio Pinocchio mi ha dato un computer per poter fare le videochiamate con i miei amici – dice Gustavo – mi ha fatto sentire meno solo durante il lockdown». Prima di ricevere quel pc, Gustavo, che ha da poco compiuto 10 anni, poteva restare in contatto con i compagni e seguire le attività didattiche «solo con il cellulare di mamma, ma era troppo piccolo».
Il digital divide è una delle problematiche strutturali del Paese, emerso con la necessità delle persone di ricorrere allo smart working o alla didattica a distanza. La storia di Gustavo, sotto questo aspetto, è analoga a quella di altri 3 milioni e 100 mila studenti tra i 6 e i 17 anni – il 45,4% del totale – che hanno riscontrato difficoltà nella didattica a distanza per la carenza di strumenti informatici. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istat sul tema, pubblicato nel 2020, sono inoltre 6 milioni e 175 mila famiglie italiane che non hanno accesso a internet. Il terzo settore – per sopperire alle mancanze delle forniture pubbliche – ha attivato diverse filiere di donazione di dispositivi informatici. Solo la rete territoriale Giambellino-Lorenteggio, grazie anche al progetto Qubì di Fondazione Cariplo, nella periferia Ovest di Milano ha distribuito 240 pc e tablet.
«Abbiamo dovuto fare i conti con le conseguenze della didattica a distanza che siamo certi non può sostituire se non per brevi periodi il dialogo educativo e formativo e tutte le esperienze di apprendimento concreto che caratterizzano la vita scolastica», spiega Luana Catanzaro, operatrice della rete Giambellino. «Abbiamo constatato, giorno per giorno, il disorientamento dei ragazzi e la scarsa motivazione allo studio che abbiamo dovuto continuamente rinforzare e per alcuni di loro è diventato sempre più evidente la difficoltà a mantenere gli impegni». E a proposito di digital divide, per Catanzaro ha «messo in risalto le disuguaglianze sociali e i forti rischi di povertà educative, accentuando il gap culturale».
«Cosa ci lascerà in eredità da questa crisi? Con quali nuovi apprendimenti e modalità inclusive torneremo ad animare i nostri luoghi e quali sfide ci attendono?», si domanda in relazione alle famiglie e ai giovani che, ogni giorno, segue. Luana è convinta che, nell’attesa di conoscere le risposte a queste domande, la cosa essenziale da fare per stimolare la resilienza delle comunità è «continuare a mantenere e consolidare le relazioni, soprattutto con i soggetti che vivono situazioni di fragilità, esposti a forte rischio di isolamento e di esclusione. Partendo dai bambini e dai ragazzi». Solo stando vicini, conclude, «possiamo costruire nuove prospettive di alleanza e innescare pratiche generative, come una comunità educante che agisce collettivamente nel territorio».
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