Gli aspiranti avvocati contro il nuovo esame di abilitazione: «Per noi sarà un disastro, ma la pandemia non è colpa nostra. Pronti a impugnare il decreto»
Gli aspiranti avvocati – si parla di 26 mila giovani in tutta Italia – sono sul piede di guerra. Da mesi chiedevano di poter fare l’esame di abilitazione professionale, chiedevano di farlo orale ma non a queste condizioni. Venerdì 12 marzo la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha annunciato che il nuovo esame di abilitazione professionale consisterà in due prove orali e che non ci saranno scritti (il Cts, per il contenimento della pandemia del Coronavirus, ha detto di no alle prove scritte). Le modalità, però, a detta degli aspiranti avvocati, sarebbero troppo gravose: sono state cambiate le carte in tavola in corso d’opera e ora, a distanza di pochissimo tempo, i praticanti si ritrovano a dover fare un esame nuovo di zecca.
«Non sappiamo come reagire, siamo tutti sconvolti. Ci chiedono di fare all’improvviso una cosa che non abbiamo mai fatto prima. La pandemia non è colpa nostra, sia chiaro, e peraltro abbiamo già perso un anno visto che avremmo dovuto fare l’esame a dicembre. Così, quindi, rischiamo una “strage”», ci dice Valentina, 27 anni, una delle 26mila aspiranti avvocate.
Cosa cambia nel nuovo esame
Concretamente, cosa cambia e cosa non va bene nel nuovo esame di abilitazione professionale? Ai praticanti avvocati viene chiesto di esaminare – nella prima prova orale – un caso pratico in appena 30 minuti e poi di esporlo alla commissione nei successivi 30: prima, invece, i candidati avevano ben 7 ore per prepararlo (però, per iscritto). A tutti i candidati viene chiesto, inoltre, di portare all’esame sia diritto civile che diritto penale: ma non tutti sono preparati in entrambe le materie. C’è chi, nei 18 mesi di praticantato, si è specializzato in civile, chi in penale. Senza considerare, poi, che chi ha fatto solo diritto amministrativo, si troverà a dover studiare, di sana pianta, due materie mai affrontate sul piano pratico. Una valutazione che, di fatto, rischia di non essere del tutto meritocratica, non tenendo conto dell’esperienza maturata dagli aspiranti avvocati.
A questo si aggiungano anche i 30 giorni di distanza (almeno) tra la prima e la seconda prova: troppo pochi, considerando tra l’altro che le date degli esami non sono ancora uscite e che le prime prove, se tutto dovesse rimanere così, potrebbero cominciare in tempi molto ristretti. Per la seconda prova – considerata la più difficile – viene chiesto ai candidati di prepararsi in 5 materie, oltre all’ordinamento forense e ai diritti e doveri degli avvocati. Entrambe le prove, tra l’altro, si svolgeranno da remoto, ovvero con il candidato presente nella sede d’esame insieme al segretario e con la commissione collegata in video, a distanza.
«Pronti a fare battaglia, esame sproporzionato. Una follia»
«Una follia. Questo esame, fatto così, è fuori luogo. Siamo pronti, nel caso in cui non ci dovessero ascoltare, a presentare un ricorso, a impugnare il decreto legge (approvato il 12 marzo e che entro 60 giorni dovrà essere convertito in legge, ndr) e a sollevare la questione di legittimità costituzionale anche per violazione della normativa europea. L’abolizione dello scritto non può comportare un aggravio incredibile della prova orale. Queste sono modalità d’esame sproporzionate rispetto a quelle classiche. Da una parte, dunque, si fa finta di andare incontro ai praticanti, dall’altra si chiede loro di studiare materie lunghissime e complesse in trenta giorni».
«Peccato poi che ci siano altre professioni, come quelle degli ingegneri o dei commercialisti che hanno trovato, già molti mesi fa, soluzioni decisamente migliori. Noi stiamo subendo una discriminazione», ci spiega l’avvocato Francesco Leone, noto per le sue battaglie a favore degli studenti. «Così faranno una carneficina e gli aspiranti avvocati saranno “condannati”. Peccato che non si dia loro un’occupazione stabile ma solo l’accesso al mercato del lavoro», aggiunge.
«I ragazzi dovranno attraversare tutta l’Italia per fare un esame in videoconferenza»
Intanto le scuole che preparano gli aspiranti avvocati all’esame di abilitazione professionale sono nel panico. Non sanno più come procedere. Inutile continuare a prepararli a un esame scritto che non ci sarà ma, al momento, come ci confida qualcuno, stanno procedendo come se nulla fosse successo. Si continua con i test scritti. A questo punto inutili. Insomma, una situazione di totale caos. Più che sullo scontro, punta al dialogo e alla richiesta di un emendamento al decreto legge, Claudia Majolo – 34 anni, presidente dell’Unione Praticanti Avvocati, anche lei praticante, tra l’altro al suo terzo tentativo – che, ringraziando la ministra per lo «sforzo disumano fatto», denuncia il fatto che questo decreto legge non andrebbe bene su diversi punti «come i 30 minuti per risolvere il caso pratico», «troppo pochi».
Per il segretario nazionale di AIPAVV (Associazione italiana praticanti avvocati), Nello Mancuso, 28 anni, praticante al secondo tentativo, «questa prova farà vedere chi ha fatto la pratica davvero e chi no»: «La verità è che non erano d’accordo con la prova orale unica, che noi chiaramente preferivamo. Ma rimandare ancora avrebbe significato sottoporsi alle prove scritte a luglio».
A preoccupare Vincenzo La Licata, 27 anni, laureato in giurisprudenza all’Università Bocconi di Milano, praticante alla sua prima esperienza, è anche la questione spostamenti. «C’è chi ha la residenza a Milano, perché ha comprato casa lì, ma ha fatto praticantato in Sicilia. Con il nuovo decreto, dovrà fare l’esame nel suo luogo di residenza. Questo significa che bisognerà attraversare tutta l’Italia, dalla Sicilia a Milano, per andare a fare un esame da solo, alla presenza di un segretario, con una commissione, collegata da remoto, che magari si trova a Napoli o Roma. Che senso ha?», tuona.
26 mila candidati nel limbo
A questo si aggiungano alcune aule delle Corti d’appello in tutta Italia (dove dovranno recarsi i ragazzi per sostenere la prova) spesso «senza wifi» con il rischio, di fatto, di non poter avviare nemmeno le sessioni d’esame. Infine si segnalano i tanti avvocati che, in queste ore, avrebbero fatto sapere di non voler prendere parte alle 250 commissioni d’esame: «Non hanno intenzione di immolarsi in questa lunga procedura», ci dice La Licata. Insomma una situazione di incertezza, scontento e malumore – che potrebbe trovare risposta negli incontri istituzionali programmati per i prossimi giorni – in cui si trovano 25.897 candidati con punte di 4 mila iscritti a Napoli (4.096), 3.614 a Roma, 3.379 a Milano e 1.149 a Catanzaro.
Foto in copertina di repertorio: ANSA/MATTEO BAZZI
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