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Niente congedi per i genitori in smart working: un’altra misura che penalizza le famiglie e il lavoro (femminile)

Con questo provvedimento implicitamente il legislatore equipara le persone che lavorano in modalità agile a chi non lavora

Diritto allo smart working per chi ha figli minori di 16 anni in DAD, contagiati o in quarantena; ma niente congedi retribuiti per i genitori che possono usare lo smart working. Con queste regole abbastanza contraddittorie, contenute nel Decreto Legge 13 marzo 2021, n. 30, il provvedimento che disciplina la didattica a distanza e introduce nuove restrizioni fino al prossimo 6 aprile, il Governo da un lato incentiva e dall’altro penalizza i lavoratori in smart working.

Diritto allo smart working

L’incentivo si trova nella norma  (art. 2, comma 1) che riconosce fino al prossimo 30 giugno al genitore, lavoratore dipendente, di figlio convivente minore di 16 anni, alternativamente all’altro genitore, di lavorare in modalità agile per un periodo corrispondente in tutto o in parte alla durata della sospensione dell’attività didattica in presenza del figlio o, in alternativa, all’eventuale infezione o quarantena del figlio.

Viene riproposta e allargata una misura che era rimasta in vita fino allo scorso 31 dicembre, con una novità importante: l’infezione o la quarantena del figlio consentono di richiedere lo smart working a prescindere dal luogo in cui si avvenuto il contatto o la presumibile infezione.  Questa misura vale fino al giorno del compimento del  16° anno di età del figlio. Va ricordato che esiste già, fino al prossimo 30 giugno, la possibilità per i genitori di figli disabili gravi di svolgere l’attività lavorativa in modalità agile, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore non lavoratore e che l’attività lavorativa non richieda necessariamente la presenza fisica.

Penalizzazioni per i lavoratori agili

Il disincentivo allo smart working si trova nella norma che fissa l’incompatibilità tra il lavoro agile e i congedi introdotti dallo stesso decreto (che ripropone la possibilità, prevista dal decreto Agosto fino al 31 dicembre 2020, di fruire dei congedi parzialmente indennizzati per i figli under 14 e non indennizzati per i figli da 14 anni a 16 anni).

Per la fruizione di questi congedi viene prevista una forte penalizzazione qualora uno dei due genitori possa fruire dello smart working: per i giorni in cui un genitore svolge la prestazione di lavoro in modalità agile, per quelli in cui può fruire del congedo indennizzato o non indennizzato oppure per i periodi in cui non svolge alcuna attività lavorativa o è sospeso dal lavoro, l’altro genitore non può fruire del congedo (e nemmeno del bonus baby-sitting, altra misura contenuta nel decreto, salvo eccezioni limitate).  

Una serie di vincoli davvero poco comprensibili, che denotano un pregiudizio del legislatore, che implicitamente equipara le persone che lavorano in modalità agile a chi non lavora.  Il legislatore sembra volerci dire che se uno dei due genitori svolge la prestazione da casa, per definizione può occuparsi dei figli; a maggior ragione, l’altro genitore deve andare al lavoro, perché la famiglia è “coperta”.

Un approccio che va a sbattere contro la realtà di questi giorni, durante i quali, con la ripresa della DAD di massa, le famiglie devono fronteggiare dei veri e propri tour de force quotidiani, costrette a incastrare nelle riunioni e nelle telefonate di lavoro anche il complesso meccanismo della scuola digitale. Di fronte a queste difficoltà, ci si sarebbe aspettati un approccio più moderno, riconoscendo che il lavoro agile è una forma di lavoro a tutti gli effetti, che come tale non può e non deve essere messo in alternativa ai permessi. Anche perché la regola “niente permessi se sei in smart working” rischia di diventare l’ennesima gabbia per le donne, che rischiano ancora una volta di essere lasciate sole nell’ingrato compito di far funzionare lavoro e famiglia. 

Immagine copertina di Maria Thalassinou su Unsplash

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