Asili chiusi, smart working e misure insufficienti. La protesta dei genitori: «Siamo distrutti»
«Vogliamo che passi un messaggio chiaro: lo smart working non è stato pensato per badare ai figli». Dopo un anno di Dad causata dal Covid, la chiusura di asili nido e materne nelle zone rosse (e a discrezione anche nelle altre fasce) è arrivata come un fulmine a ciel sereno. «Siamo scioccati e indignati che dopo tutto questo tempo siamo peggio di prima», dice Cristina Tagliabue co-fondatrice del Comitato Priorità alla Scuola, che ormai da un anno si batte affinché al centro dell’agenda governativa vengano messe misure per una scuola sicura. Parallelamente allo stop della didattica in presenza – che da lunedì 15 marzo ha coinvolto circa 8 studenti su 10 – si è aperta nuovamente la questione degli aiuti alle famiglie, ormai «distrutte» da mesi di emergenza. Esenti dalla possibilità di usufruire dei congedi parentali sono infatti i genitori che lavorano in smart working, considerato dunque dal governo uno strumento capace di conciliare il lavoro con i figli a casa.
Anche stavolta, nota Tagliabue, il carico maggiore viene riversato sulle donne, ancora principali responsabili (almeno in Italia) della cura dei bambini. «La ministra Bonetti dice di prenderci un congedo pagato al 50%. Ma per chi è sostenibile questa cosa?», sottolinea. Secondo Elena Bonetti, quelle adottate sono misure non risolutive, ma che sfruttano al massimo i fondi a disposizione e fanno riferimento a un’emergenza che dovrebbe essere limitata a poche settimane. Ma le rassicurazioni della ministra non convincono e non bastano: il prossimo 26 marzo i genitori e gli insegnanti che fanno parte del Comitato torneranno in piazza per chiedere ancora una volta di mettere il diritto allo studio tra le priorità.
Dopo aver partecipato anche allo sciopero transfemminista dell’8 marzo, il Comitato chiederà anche una maggiore attenzione per le donne nel Recovery Plan italiano: «In questo nuovo periodo di chiusure, sono state nuovamente sacrificate più di altre categorie sociali», dice Tagliabue. «Anche ora sembra che il governo, composto per la maggior parte di uomini, ha deciso senza neanche porsi il problema che sarebbe stato fattibile chiudere le scuole. E lo ha fatto utilizzando dati parziali». A oggi, un report ministeriale che raccolga dati aggiornati sui contagi nelle scuole non esiste, perché i monitoraggi si sono interrotti a inizio novembre 2020 con il ritorno in Dad delle scuole superiori (e non solo). «Noi riteniamo che le scuole siano ambienti molto più sicuri di altri luoghi commerciali – sottolinea Tagliabue – e ce lo dimostrano degli studi scientifici realizzati da diversi esperti».
Cosa dicono i dati (parziali)
A inizio marzo, la decisione di chiudere le scuole per Dpcm è stata difesa in conferenza stampa dall’Istututo superiore di sanità, che ha messo in guardia sul rischio – reale – di trasmissione tra i bambini causato dalla variante. L’ultimo report del Centro europeo per la previsione e il controllo delle malattie (Ecdc) al quale rimanda l’Iss nelle sue Faq, consiglia comunque ai Paesi di fare tutto il possibile per mantenere le scuole aperte in maniera sicura. Un consiglio che dovrebbe essere colto in generale, e a maggior ragione tra gli under 10, dove non c’è ancora la certezza assoluta che la situazione sia preoccupante quanto per gli over 13. Stando all’ultimo report del gruppo di lavoro promosso dall’Associazione italiana di epidemiologia sulla Sorveglianza regionale dell’incidenza per età ed impatto delle misure – pubblicato il 15 marzo – l’aumento più marcato di incidenza fino al 9 marzo si conferma nelle fasce di età 11-13, 14-18 e 19-24 anni.
Le preoccupazioni degli esperti, comunque, non sono infondate. In alcune aree più colpite della Penisola – la Lombardia su tutte – anche gli asili nido sono coinvolti nell’aumento dei contagi. Secondo quanto riportato in un comunicato dell’Ats di Milano, nella sola settimana dall’8 al 14 marzo sono state ricevute segnalazioni di 886 casi di tamponi positivi al Covid-19 nelle scuole delle province di Milano e Lodi. Di questi, 62 sono del Nido, 115 della scuola dell’infanzia, 239 della scuola primaria, 209 della secondaria di primo grado e 261 di quella di secondo grado. In isolamento sono finite 107 classi tra nido e materne, per un totale di 1.580 alunni e 293 operatori. L’obiettivo non è certo quello di riaprire alla cieca, ma di evidenziare come, nonostante i dodici mesi di emergenza, non si sia ancora capito come venire incontro alle famiglie.
Immagine di copertina: Standsome Worklifestyle su Unsplash
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