Lo stop di AstraZeneca rallenta i piani vaccinali ma l’Ue dice no alla sospensione dei brevetti: «Un autogol spaventoso»
La sospensione di AstraZeneca da parte di molti Paesi europei ha rallentato ancora una volta la campagna vaccinale in Europa. A oggi, nessuno dei Paesi europei sembra in grado di raggiungere entro settembre l’obiettivo fissato da Bruxelles di immunizzare almeno il 70% della popolazione. Nonostante l’Ema abbia chiarito che al momento non sembra esserci alcuna indicazione che il vaccino abbia causato le trombosi riscontrate in alcune pazienti sottoposti ad AstraZeneca, e un nuovo via libera potrebbe arrivare già giovedì, l’ennesimo stop alla campagna di somministrazione in Europa è un passo indietro che frena la volontà dell’Unione di uscire al più presto dalle restrizioni imposte dalla pandemia e di far ripartire l’economia.
Un ritardo che però la Ue si trascina da mesi dopo i problemi con le forniture del vaccino inglese, e i tagli alle dosi promesse dalle altre cause farmaceutiche: come Pfizer e Moderna. Il 12 marzo, la casa farmaceutica inglese ha annunciato che ridurrà la sua fornitura di vaccini nel primo trimestre del 2021. Il 10 febbraio era stata la stessa presidente della commissione Europa, Ursula von der Leyen, a fare autocritica. Durante la seduta plenaria del Parlamento europeo, von der Leyen ha ammesso che l’Ue ha commesso degli errori sull’approvvigionamento dei vaccini. In particolare, oltre ai ritardi nell’approvazione dei singoli vaccini, von der Leyen ha osservato come «eravamo tutti molto concentrati sullo sviluppo del vaccino, ed è giusto che sia così. Ma nel complesso abbiamo sottovalutato le difficoltà insite nella produzione di massa».
Trasferire il know-how
Per questo, una delle priorità in cima alle agende del nuovo governo Draghi è stata fin da subito quella di aumentare la capacità dell’Italia di produrre vaccini attraverso accordi commerciali con le aziende farmaceutiche. Oltre al già attivo stabilimento di Anagni, l’obiettivo del governo è quello di estendere la produzione di altri vaccini ad altri siti. Per questo, nel suo incontro con il commissario Ue al mercato interno, Thierry Breton, il ministro per lo sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha parlato della possibilità di aprire un polo nazionale di produzione che acceleri la distribuzione dei vaccini.
«È nel pieno interesse dell’Europa estendere la produzione dei vaccini anche a Paesi fuori dall’Ue», dichiara a Open Gauri Khandekar, ricercatrice per il progetto ambiente e sostenibilità dell’Istituto per gli Studi Europei di Bruxelles. Tuttavia, come spiega uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Lancet, al momento sono pochi i Paesi ad avere la capacità interna di produrre i vaccini Covid in autonomia. «È quindi necessario – scrivono gli scienziati – che le aziende condividano attivamente la conoscenza, la tecnologia per consentire l’espansione della capacità di produzione». Ma in gran parte, sono solo i Paesi a reddito medio-alto quelli in grado di poter stipulare accordi di produzioni con le case farmaceutiche, dietro al pagamento di – spesso – ingenti royalties. Questo esclude gran parte delle Nazioni più povere del mondo.
La richiesta di India e Sud Africa
«Una sospensione dei brevetti permetterebbe un aumento della produzione del vaccino a livello mondiale, potrebbero produrlo tutte le aziende pubbliche e private che hanno la capacità tecnologica per farlo», commenta a Open Vittorio Agnoletto, portavoce della Campagna Europea Diritto alla Cura. Il 12 marzo, i Paesi più ricchi del pianeta facenti parte dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) hanno bloccato la proposta sostenuta in particolare da India e Sud Africa, e da 100 altri Paesi, per la sospensione dei brevetti sui vaccini. Anche tutti i 27 Stati membri dell’Ue si sono opposti alla richiesta.
Secondo Khandekar la decisione presa dall’Ue è «inspiegabile» con conseguenze dirette per i Paesi europei e quelli più poveri del mondo. Secondo un appello sottoscritto anche dall’ex premio Nobel all’Economia Mohammad Yunus e pubblicato su The Lancet sono miliardi le persone che alla fine del 2021 non avranno avuto accesso neanche a una dose di vaccini. Un fatto «che può prolungare la pandemia e aumentare il rischio di future mutazioni, minacciando quindi l’efficacia dei vaccini esistenti».
La priorità ai vaccini sviluppati in occidente
Anche il direttore dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha chiesto che vengano revocati i diritti sui brevetti fino alla fine della pandemia di Coronavirus in modo che le scorte di vaccini possano aumentare drasticamente. Un appello lanciato anche dalla People’s Vaccine Alliance secondo cui ci sono almeno altre 20 strutture nella sola India che potrebbero iniziare a produrre vaccini e molte altre in altri paesi come Argentina, Sud Africa, Brasile, Messico e Indonesia. Strutture di cui – afferma Khandekar – «potrebbe beneficiare anche l’Europa vista la grande capacità dell’India di acquisire velocemente il know-how tecnologico e riconvertire la produzione».
Aumentare il numero di vaccini a disposizione permetterebbe di avere una campagna vaccinale mena soggetta a intoppi. Ma, fa notare in un editoriale Jayati Ghosh, economista indiana alla Nehru university di Nuova Delhi, in questi mesi l’Oms ha preferito dare la precedenza all’approvazione di vaccini sviluppati in occidente: «l vaccini russo (Sputnik V) e cinese (Sinovac e Sinopharm), che avevano richiesto l’approvazione anche prima del vaccino Pfizer-BioNTech, non hanno ancora ricevuto il via libera dell’OMS». E tutte e tre queste aziende farmaceutiche possono produrre ciascuna fino a 1 miliardo di dosi di vaccino entro la fine del 2021. Dosi che farebbero comodo anche all’Europa.
Il no delle Big Pharma
Dall’altra parte, l’argomentazione di chi si oppone al rilascio dei brevetti sui vaccini, è che la concessione dei diritti di proprietà intellettuale «non aumenterebbe l’offerta di una singola dose a breve termine perché si trascura la complessità della produzione di vaccini», ha chiarito a Deutsche Welle Thomas Cueni, direttore generale della Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche (IFPMA). Tuttavia, evidenzia Science, «la conoscenza dei processi di un’azienda può anche facilitare gli sforzi di produzione di aziende con altri vaccini, in particolare se i vaccini utilizzano la stessa piattaforma di produzione».
Lo scorso 5 marzo sono state le stesse case farmaceutiche a scrivere al presidente americano Joe Biden per bloccare la richiesta fatta da Sud Africa e India argomentando che una tale decisione non aiuterebbe la lotta alla pandemia disincentivando gli sforzi per la ricerca e lo sviluppo. Nel pratico, quello che sostengono le aziende farmaceutiche è che per sviluppare vaccini sono necessarie grandi quantità di capitale. E nel caso in cui non fosse possibile prevedere un ritorno sugli investimenti, allora potrebbero avere problemi a garantire profitti per simili progetti futuri.
Tuttavia, quasi tutti i vaccini leader nella lotta alla pandemia hanno già ricevuto ingenti finanziamenti pubblici. Ad esempio, anche se Pfizer non ha ottenuto aiuti diretti dal governo statunitense, ha ricevuto preordini per 100 milioni di dosi per 1,95 miliardi. I costi sostenuti sono stati di circa 3,1 miliardi, ma le stime di vendita per il 2021 sono di 15 miliardi.
«La presa di posizione dell’Ue che è stata assunta da tutti i 27 paesi danneggia direttamente i cittadini europei, ed è un autogol spaventoso. Questa è la situazione, si sono presi una responsabilità veramente enorme», osserva ancora Agnoletto. A oggi l’Ue ha somministrato 35,56 milioni di dosi, e solo il 3,4% della popolazione è completamente immunizzata. «È chiaro che l’Europa sta dando priorità al suo rapporto con le Big Pharma – dichiara Khandekar – se l’obiettivo è arrivare alla fine di questa pandemia, sarebbe sciocco non sfruttare la capacità di produzione inattiva in India e altrove il prima possibile. Più velocemente arriviamo all’immunità di gregge globale, meglio è per tutti».
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