Cirinnà: «Il Pd? Devastato. La corsa al Campidoglio? Letta proverà la sua autonomia» – L’intervista
Gli scogli sono emersi subito e senza nemmeno doversi allontanare da Roma: lungo la rotta del Partito democratico con Enrico Letta nocchiere, a poche ore di navigazione, la vicenda delle elezioni comunali nella Capitale agita le acque del Nazareno. È trapelata sui giornali la notizia che Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia nel governo Conte II, sarebbe stato scelto come candidato Dem del Campidoglio. A stretto giro, sono arrivate le reazioni di molti esponenti del partito che hanno invocato la necessità, prima dell’investitura di qualcuno, di svolgere le primarie, «e di estenderle a tutto il campo largo del centrosinistra», dice a Open la senatrice Monica Cirinnà, candidata già dallo scorso settembre alle primarie per la Capitale.
Senatrice, non è passata nemmeno una settimana dall’elezione del nuovo segretario del Pd ed è già arrivata la prima grana per Enrico Letta.
«Non la considererei una grana, ma la prima grande prova di cambiamento che il nostro segretario deve affrontare. Nello speech di insediamento ha detto di auspicare che siano i cittadini a scegliere i parlamentari. Io stessa, voglio ricordarlo, sono entrata in Senato grazie alle parlamentarie di Pier Luigi Bersani. Il Partito democratico dovrebbe esporsi con decisione a favore della partecipazione più ampia possibile ai processi politici. Personalmente, sono favorevole alle parlamentarie per i parlamentari e alle primarie per le cariche monocratiche. Per Enrico Letta, questa è la sua prima vera prova di autonomia e sono certa che non ci deluderà».
Autonomia dalle correnti?
«Autonomia dalle correnti sì, ma soprattutto da questo pantano che ha portato il Pd a essere, di fatto, costretto all’immobilismo su quasi tutto. Ciò che non usciva dal caminetto, negli ultimi tempi, non si è potuto realizzare. Ecco: ci vuole autonomia dal caminetto».
Con “caminetti” si intende una pratica politica che prevede che le decisioni principali siano prese attraverso riunioni informali tra i principali esponenti di un partito. Cosa rappresentano oggi i caminetti del Pd?
«Accordi di vertice che non tengono conto della democrazia interna al partito. Immaginate il Pd come un carta geografica con dei confini abbastanza chiari tra regioni, province. Ognuno di questi territori è un gruppo di potere organizzato che fa capo a un leader: sia a livello locale che nazionale, questi gruppi di potere agiscono per tutelare loro stessi, spesso remando contro l’interesse di tutto il partito e dei cittadini».
Per dismettere i caminetti è necessario cambiare qualche nome che ricopre ruoli di vertice? Penso ai capigruppo di Camera e Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci.
«A questo proposito, penso che il primo grande problema sia avere un segretario che non è presente in parlamento. L’abbiamo visto già durante la segreteria di Nicola Zingaretti. I gruppi parlamentari sono, per rapporto osmotico con i cittadini che li votano, il riferimento dei territori dai quali provengono. Un segretario che non segue, da dentro al parlamento, le dinamiche dei gruppi alla Camera e al Senato, è un segretario azzoppato. C’è la possibilità, e sarebbe ottimo, che Letta si candidi alle elezioni suppletive nel collegio di Siena. Spero che ciò accada, così potrà venire in parlamento e rendersi conto delle enormi difficoltà che vivono i gruppi parlamentari del Pd, i quali ripercorrono pedissequamente le frammentazioni che ci sono nella direzione nazionale e nel partito in generale».
Deve ammettere, però, che questa frammentazione del gruppo parlamentare è diventata più ininfluente da quando c’è Mario Draghi al governo: non credo che qualcuno possa dissociarsi dalla linea scelta dall’esecutivo.
«È vero, ci saranno pure meno attriti interni, ma se il Pd non si sgancia dall’idea di essere l’ambulanza del governo Draghi non andrà lontano. Del discorso di Letta, ho apprezzato tantissimo l’invito a essere “radicali nei comportamenti”. Io sono una che si occupa di temi complicati, divisivi, ma che fanno parte della quotidianità dei cittadini: i diritti. Ecco, per alcuni di questi, è chiaro che il governo Draghi non abbia la mia stessa visione. Se il Pd si piega a essere l’ambulanza del governo, finirà per annichilirsi e perdere la sua centralità sulla scena politica. Responsabilità sì, ma mai passi indietro sui nostri valori».
Tornando alle vicende romane, lei conferma la sua candidatura – l’aveva annunciata lo scorso settembre – alle primarie del Pd per il ruolo da sindaco della Capitale?
«Attenzione, qui non si tratta di primarie del Pd: le primarie devono servire a dare voce al campo largo del centrosinistra. Il Pd non può avere un atteggiamento egemonico e tirar fuori dal cilindro solo un nome possibile. Devono essere primarie aperte alla sinistra che sta fuori dal Pd e a quel centro che vuole compete nel campo largo del centrosinistra. A Carlo Calenda, a cui piace impartire lezioni, dico questo: se vuol essere supportato dal Pd, partecipi alle primarie. Calenda abbia pazienza, esiste altro oltre a sé stesso».
Non teme che delle primarie a cui partecipi anche Calenda sarebbero un boomerang per il Pd?
«No, tutt’altro: pensi che primarie meravigliose sarebbero se ci fossero Calenda, due nomi importanti del Pd, Giovanni Caudo, Amedeo Ciaccheri di Liberare Roma, Tobia Zevi. E poi, una cosa deve essere chiara: io non mi metto di traverso per azzoppare la candidatura di Roberto Gualtieri, sono una donna di squadra e mi atterrò a quella che sarà la decisione. Però, la questione andrebbe posta in una dialettica positiva, un’interlocuzione con chi, come me, ha dato disponibilità alla candidatura».
Non ha citato il Movimento 5 stelle e Virginia Raggi: è già naufragata l’ipotesi di un’alleanza strutturale con i grillini?
«Assolutamente: loro non devono partecipare alle primarie. Sono fuori dal tipo di interlocuzione di cui parlavo, sono un altro partito. Nello specifico, Virginia Raggi si è autocandidata da sola ad agosto, senza parlare nemmeno con il suo partito che mi sembra alquanto dissestato. Non è sicuramente lei il soggetto con cui fare le primarie del centrosinistra».
Perché, secondo lei, Gualtieri avrebbe fatto trapelare l’indiscrezione della sua candidatura a sindaco di Roma?
«Non appartiene certamente alla mia cultura citare Giulio Andreotti, ma in questo caso… a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina. Secondo me non è stato Gualtieri a far trapelare questa notizia, ma è la mossa di qualcuno interno al partito per danneggiarlo. Stimo Roberto, lo conosco, è una persona seria. E so anche che è una persona molto cauta. Non vorrei che certe candidature fossero fatte nel tentativo di fare male proprio a quei nomi dati in pasto all’opinione pubblica. È capitato anche a me con il fuoco amico – la storia dei sette nani – del mio partito devastato.
E il Pd romano è ancora più devastato rispetto a quello nazionale. Assistiamo spesso alla pratica di danneggiare in modo subdolo e sotterraneo chi dà la propria disponibilità, con limpidezza, per una causa comune. Se ci saranno le primarie, comunque, ribadisco che ci sarò. Tuttavia, se il candidato unico, alla fine, sarà Gualtieri, non farò una guerra, anzi: gli farò campagna elettorale perché sono sicura che sarebbe un ottimo sindaco. Ma la stella polare resta fare le primarie».
C’è chi attribuisce a Goffredo Bettini la decisione di mandare avanti Gualtieri per Roma.
«Mi sono stancata di questa storia: qualunque mosca voli a Roma deve essere uscita dalla finestra della casa di Bettini. È sempre colpa di Bettini. Basta! Goffredo è un uomo limpido, ha sempre il coraggio di parlar chiaro, è generoso perché aiuta tutti senza avere un incarico, senza una struttura, uno staff, senza ricevere una lira in cambio. È troppo comodo, per qualcuno, che ogni boomerang del Pd torni indietro contro Goffredo: nel partito, purtroppo, ci sono persone molto vili. A Goffredo do tutta la mia solidarietà».
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