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Fridays for Future in sciopero: «Dal ministro per la transizione ecologica ci aspettiamo di più. Sbagliato puntare su idrogeno e nucleare» – Le interviste

Nei giorni scorsi il neoministro ha presentato le linee guida del suo dicastero, suscitando qualche perplessità tra le associazioni ambientaliste. Le impressioni di tre dei nuovi portavoce nazionali del movimento, raccolte alla vigilia della nuova manifestazione mondiale

Con l’Italia sull’orlo di una svolta epocale in tema ambientale, grazie ai circa 70 miliardi di euro del Next Generation Eu (più di un terzo del totale destinato all’Italia) che finanzieranno la transizione ecologica, gli ambientalisti di Fridays for Future scendono di nuovo in piazza. Nei giorni scorsi si sono dati una nuova organizzazione, nominando sei portavoce nazionale il cui compito sarà proprio quello vigilare sul ministero per la transizione guidato da Roberto Cingolani. Lo slogan della nuova manifestazione questa volta è «Basta False Promesse», un richiamo al coraggio da parte delle classi dirigenti anche per quanto riguarda i fondi europei che «devono essere subito investiti in politiche per azzerare le emissioni di gas serra, la causa della crisi climatica».

Il debutto di Cingolani, che nei giorni scorsi ha presentato davanti alle commissioni di Camera e Senato le linee guida del suo ministero, si è fatto notare soprattutto per i richiami alla transizione burocratica – «l’emergenza della pandemia impone una revisione delle procedure amministrative e degli assetti regolatori», ha dichiarato il neo-ministro, che vorrebbe una corsia preferenziale per realizzare i progetti del Piano nazionale di riforma e resilienza – ma anche per alcune uscite sull’idrogeno verde e fusione nucleare che hanno fatto insorgere gli ambientalisti. Non è la prima volta. La stessa nomina di Cingolani, definita «spiazzante» dal presidente di Legambiente mentre Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, si era limitato a dire: «Partiamo male», aveva mandato il mondo ambientalista in subbuglio.

Perché Cingolani non convince i Fridays

Anche i Fridays non hanno gradito la scelta. Dice Lavinia, 14 anni, attivista, una dei sei nuovi portavoce nazionali eletti da poco per vigilare sulla transizione ecologica: «È preso a tutti quanti un colpo, quando abbiamo visto che era stato a capo dell’innovazione di Leonardo, quindi di un’azienda che produce anche armi». «In passato Cingolani aveva dichiarato che la strada maestra per raggiungere la decarbonizzazione fosse il gas naturale – aggiunge Filippo, ventenne, attivista e anche lui tra i portavoce eletti -. Ma è una fregatura, prima di tutto perché si tratta di un combustibile fossile, quindi produce CO2, poi il gas naturale è più o meno alla stregua del carbone, perché anche se la combustione inquina meno, le perdite che ci sono durante il trasporto sono addirittura peggiori».

Non è andata meglio, sempre dal loro punto di vista, con la presentazione delle linee guida del ministero. «Le nostre paure non sono venute meno, anzi. Il cuore della transizione che ha in mente il ministro è composto dall’idrogeno e dalla fusione nucleare. La seconda non c’è da nessuna parte: quelli che ci lavorano ad Iter, che lui stesso ha citato come il progetto più interessante, dicono che prima del 2035 non si vedrà niente. Lo stesso discorso vale per l’idrogeno, visto che non esistono le tecnologie per renderlo disponibile su larga scala. Noi le emissioni dobbiamo ridurle adesso. Tutti lo dicono – l’Agenzia internazionale dell’energia, l’IPCC – che se non cambiamo rotta sarà troppo tardi. Non possiamo aspettare di sviluppare una nuova tecnologia, ma dobbiamo utilizzare quello che abbiamo adesso: le energie rinnovabili funzionano e sono sempre più convenienti».

«Non ci stiamo rendendo conto che stiamo aspettando delle tecnologie che magari arriveranno un domani, quando abbiamo l’opportunità di ridurre le emissioni e creare posti di lavoro adesso, risparmiando perché il gas lo paghiamo di più di quanto potremmo pagarlo», aggiunge Martina, 27 anni, studentessa in un corso di cambiamento climatico e salute anche lei tra i nuovi portavoce del movimento. «All’inizio del suo intervento Cingolani ha detto che la transizione ecologica è difficile da definire. Per noi transizione ecologica vuol dire passare da un modello non sostenibile per il tipo di risorse che ci sono su questo pianeta, a uno che invece lo è».

ANSA/LIVIO ANTICOLI/POOL | Roberto Cingolani, ministro per la transizione ecologica, febbraio 2021

Le analisi che fanno i tre attivisti di Fridays sono centrate. Per quanto riguarda il nucleare, l’Italia non ha centrali attive e, anche secondo le previsioni più ottimistiche, difficilmente potremmo trarne dei vantaggi prima di qualche decennio. Il settore dell’idrogeno verde – che si chiama così perché viene estratto dall’acqua usando la corrente prodotta da una centrale alimentata da energie rinnovabili –  è meno sviluppato rispetto ad altre tecnologie, come l’idrogeno blu – che viene estratto da idrocarburi fossili più inquinanti. Quindi puntare sul primo vorrebbe dire nei fatti rimandare la transizione.

«Non c’è uno studio che non dica che il grande potenziale da rinnovabili in questo Paese arrivi dall’eolico e dal fotovoltaico – spiega a Open Katiuscia Eroe, responsabile Energia per Legambiente -. Non c’è studio che racconti di quanto l’idrogeno, per quanto verde, sia energivoro [ovvero che consumi grandi quantità di energia ndr]. E non c’è dubbio che lo sviluppo della filiera del nucleare non fa in tempo a entrare nel sistema energetico rispetto agli obiettivi climatici. Il mondo intorno a noi investe sull’eolico, il fotovoltaico, sull’efficienza energetica, sulla mobilità sostenibile – questi sono i temi su cui bisogna ragionare».

Tre proposte per la transizione ecologica 

Il tema del tempo in scadenza così come i riferimenti alla necessità di ascoltare gli scienziati (anche Cingolani è uno scienziato: «È un fisico che non ascolta i climatologi!», ribatte Martina) rappresenta un motivo valido per i Fridays per scendere in piazza. Nello scorso anno, da quando è iniziato il lockdown, il movimento ispirato a Greta Thunberg non ha potuto organizzare manifestazioni come quelle che avevano portato in piazza decine di migliaia di persone in Italia a marzo e a settembre del 2019. A distanza di poco oltre due anni dal suo inizio, il movimento resta apartitico, ma non apolitico.

Filippo, Martina e Lavinia dicono chiaramente di non sentirsi rappresentati dai principali partiti politici in Italia, di credere poco alla vocazione ecologista del Movimento 5 Stelle – definito da Di Maio «il principale partito ecologista in Italia» in un’intervista a El Pais – e di guardare con diffidenza alla svolta green del Partito democratico e del sindaco di Milano Beppe Sala che la scorsa settimana è uscito dal Pd per entrare nei Verdi europei. Anche la creazione di un nuovo gruppo ambientalista in Parlamento li lascia indifferenti. 

Ma non per questo si sottraggono nello stabilire quali sarebbero le loro priorità per la transizione ecologica. Lavinia, per esempio, chiede a gran voce l’ora di educazione ambientale settimanale annunciata nel 2019 dall’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. «Nella mia scuola non abbiamo mai visto l’educazione ambientale – racconta Lavinia -. e neppure nelle scuole degli altri. Nessuno ha mai saputo più nulla. Le cose che ho imparato, le ho imparate dentro al movimento e informandomi online, ma è ovvio che così diventa difficile sviluppare una consapevolezza della crisi che stiamo vivendo». Per Martina invece il ministero guidato da Cingolani dovrebbe puntare su una riforma del settore agroalimentare anche per prevenire le conseguenze negative degli effetti climatici estremi sulla vita degli agricoltori.

La terza proposta, di Filippo, è sul trasporto pubblico locale, rigorosamente elettrico. «Nel vecchio Pnrr c’è poco e niente sul trasporto locale. Quando ho letto la bozza ho pensato alla Sardegna, dove vivevo fino a qualche anno fa e dove i treni passano di rado. Ho pensato che non faceva assolutamente niente per migliorare questa situazione. Cosa dobbiamo aspettare affinché queste cose cambino, se non il piano di 200 miliardi che arriva una volta nella vita e poi mai più?». E quando si fa loro notare che non sono stati citati i sussidi ambientalmente dannosi scoppia una risata amara: «Lo diamo per scontato, è proprio la base!».

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