Sulle donne capigruppo non c’è accordo nel Pd, la rottamazione silenziosa di Letta si scontra con le correnti. Spuntano i nomi di Madia e Pinotti
Enrico Letta, nelle vesti di rottamatore gentile, deve fare i conti con i gruppi parlamentari di Camera e Senato, i cui equilibri interni riproducono quelli delle liste elettorali redatte al tempo della segreteria Renzi. La rottamazione lettiana, dopo aver investito la segreteria – senza troppi malumori -, adesso coinvolge i capigruppo del Partito democratico. I posti, in questo ruolo di vertice, sono ridotti. Tre per l’esattezza. All’europarlamento, dopo le dimissioni, Brando Benifei è stato rieletto capodelegazione all’unanimità. Restano da sostituire Graziano Delrio alla Camera e Andrea Marcucci al Senato. Per loro, stando alle parole di Letta, non ci sarà riconferma: «Siamo intorno a metà legislatura ed è giusto lasciare spazio a due donne». Se Delrio non chiude la porta a una possibile rinuncia, il senatore Marcucci non sembra intenzionato a farsi da parte.
La rottamazione è gentile, dunque, perché sarebbe giustificata dalla necessità di garantire alle donne del partito una posizione di vertice. È silenziosa perché Letta ha detto che «l’autonomia dei gruppi parlamentari va rispettata», non proponendo – almeno pubblicamente – delle sostitute. Di fatto, però, la mossa del segretario serve a liberare il campo da nomi ingombranti per le dinamiche interne al partito. La trattativa non è andata come sperava e domani, 23 marzo, le assemblee dei gruppi si limiteranno a una discussione politica. «Marcucci non cede, vuole andare allo scontro – spiega una fonte della corrente Base riformista -. Stiamo provando a trovare un accordo, il problema è che ci troviamo in presenza di due posizioni molto rigide. Letta è entrato nella questione dei capigruppo in maniera aggressiva, irriguardosa. D’altro canto, Marcucci fa una battaglia che rischia di essere solo personale e non di gruppo».
Sostegno di Base riformista a Marcucci, ma in virtù di un accordo…
I parlamentari della corrente si sono riuniti nella giornata di lunedì 22 marzo per elaborare una strategia comune. Alla Camera, il peso del loro voto è diluito, mentre a Palazzo Madama, con una ventina di senatori su un gruppo parlamentare di 35, la posizione di Base riformista è determinante per l’elezione del capogruppo. Ufficialmente, la corrente ha deciso di sostenere Marcucci, amico storico di Matteo Renzi. Ma è davvero inamovibile? «Un accordo è un accordo – risponde la fonte di Base riformista, lasciando intravedere la possibilità di sacrificare l’attuale ruolo di Marcucci per il completamento di un puzzle più complesso -. Letta deve sapere, però, che l’autonomia dei gruppi è imprescindibile. Noi, lato nostro, stiamo cercando di evitare il muro contro muro: per questo bisogna guardare al Senato e alla Camera contemporaneamente, i nuovi eventuali capigruppo saranno decisi nell’ambito della stessa partita».
I parlamentari di Base riformista lamentano il metodo con cui è stata resa pubblica la vicenda dei capigruppo, e cioè attraverso un’intervista in cui il segretario ha annunciato la necessità di sostituire Delrio e Marcucci con due donne. Altro elemento che fa storcere il naso ai parlamentari della corrente è il timing delle assemblee: «Si è giocato di anticipo con il parlamento europeo, inscenando le dimissioni e poi la rielezione di Benifei. Poi si è calendarizzata l’assemblea del gruppo alla Camera e per ultima quella del Senato, mettendo di fatto Marcucci con le spalle al muro». La trattativa durerà più a lungo delle 24 ore ipotizzate quando le assemblee sono state convocate: domani si farà una semplice discussione politica, per l’insediamento dei seggi elettorali si potrebbe aspettare anche una settimana.
Sembrerebbe scartata l’ipotesi di un mero scambio di ruoli tra Marcucci e Anna Rossomando, rispettivamente capogruppo Dem al Senato e vicepresidente del Senato. Nel caso in cui Marcucci accetti di fare un passo indietro per consentire a Base riformista – corrente a lui molto vicina, ma della quale il senatore non fa parte in maniera organica – di conservare una pedina nei due ruoli in ballo, è probabile che alla corrente guidata da Guerini e Lotti vada la posizione di capogruppo alla Camera. Per quel ruolo, spunta il nome di Marianna Madia, deputata che ha già ricoperto incarichi nelle segreteria di Nicola Zingaretti. Per il Senato, invece, circola il nome di Roberta Pinotti – appartenente alla corrente AreaDem di Dario Franceschini -, rimasta fuori dalla segreteria di Letta.
Lorenzin: «Bene affidare questi ruoli alle donne». Boldrini: «Superare questa dimensione delle correnti»
Le deputate dem Beatrice Lorenzin e Laura Boldrini scelgono di non partecipare alle lotte interne al partito per la decisione sui capigruppo. «Il segretario ha espresso una dichiarazione in linea con quello che avviene in tutti i partiti progressisti europei – spiega Lorenzin -. In generale, anche tra i conservatori, non credo che in Europa esistano partiti in cui tutte le cariche direttive apicali sono coperte da figure maschili. Al netto delle scelte e delle discussioni che si faranno domani, questo è un tema che non possiamo eludere. Certo, va tenuto conto del lavoro fatto fin qui dai capigruppo ma è il tempo di dare più spazio alle donne». Anche Boldrini ritiene che sia giunta l’ora di «dare seguito a quello che scriviamo nei documenti: se il Pd vuole essere un partito progressista, ai propri vertici non può avere solo uomini».
«Trovo positiva la serietà che Letta ha posto su questo tema politico. Domani si discuterà di come si deve tradurre concretamente questa attenzione alla parità di genere, anche per rimediare all’errore della scelta di portare al governo Draghi tre ministri uomini». Boldrini ci tiene a sottolineare che la posizione del segretario non è interpretabile come una mancanza di riconoscimento nei confronti dei capigruppo e mette in guardia le diverse anime del suo partito: «Domani ci aspettiamo che i colleghi del Pd esprimano la volontà di procedere nella direzione di dare più spazio alle donne, ci sarà una discussione politica, poi si penserà ai seggi elettorali. Non agire in questo senso vorrebbe dire arroccarsi sulle proprie posizioni, ignorando il punto politico della questione. Ci vuole anche un po’ di generosità, di lungimiranza, di visione, per il bene di questo partito».
«Nel gruppo Pd alla Camera ci sono donne capaci di ricoprire il ruolo di capogruppo, tanto per esperienza politica quanto per competenze pregresse», aggiunge Boldrini. E conclude con un appunto alle posizioni di Base riformista: «Io non appartengo a nessuna corrente. In generale, però, ritengo che le correnti siano un bene se sono espressione di un pensiero, di un sentire politico. Il pluralismo è una cosa positiva. Tuttavia, quando diventano pura gestione delle posizioni di potere e si sentono addirittura in diritto di pretendere quelle posizioni di potere, penso che le correnti non aiutino il partito, anzi, penso che lo sfibrino e lo rendano incapace di incidere. Bisogna superare questa dimensione delle correnti nel Pd».
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