L’esule e attivista uiguro Dolkun Isa: «Le sanzioni Ue non bastano: l’Europa smetta di fare affari con le aziende cinesi complici» – L’intervista
Dopo più di trent’anni, l’Unione Europea è tornata a sanzionare la Cina per violazioni di diritti umani. Questa volta al centro dell’azione europea c’è la repressione degli uiguri, la minoranza etnica che vive nella Regione autonoma dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina e sottoposta da decenni a persecuzioni. A partire dal 2016, la repressione cinese si è però intensificata e sistematizzata con la costruzione di campi di internamento dove, secondo stime indipendenti, sarebbero stati rinchiusi almeno un milione di uiguri. Agli stupri, le torture, le sterilizzazioni e gli aborti forzati che avvengono all’interno di questi campi l’Unione europea ha risposto sanzionando quattro ufficiali cinesi dello Xinjiang e dell’ufficio per la pubblica sicurezza del Production and Construction Corps, l’ente che si occupa dei campi di internamento.
«Siamo molto felici della decisione presa ieri dall’Unione europea. Gli ufficiali sanzionati sono responsabili del genocidio degli uiguri, per questo la decisione dell’Ue manda un messaggio molto chiaro anche ad altri Paesi democratici e al governo cinese», commenta a Open il presidente del Congresso mondiale uiguro, Dolkun Isa. Ex studente e leader delle manifestazioni pro-democrazia presso l’Università dello Xinjiang nel 1988, Isa è in esilio dal 1994, anno in cui è fuggito dalla Cina per cercare rifugio in Europa.
I legami con la Turchia
«Ci sono altri nomi che sarebbero dovuti entrare nella lista delle sanzioni, e questo è un po’ deludente, ma almeno è la prima azione concreta che vediamo nei confronti della Cina», aggiunge Isa. Nella giornata di ieri, oltre alla Cina, sui tavoli di Bruxelles è stato affrontato anche lo spinoso dossier turco. Ad oggi Ankara – grazie ad affinità linguistiche e culturali – è tra i Paesi che ospitano la più numerosa diaspora uigura. Ma un accordo di estradizione con la Cina, non ancora ratificato dal Parlamento turco, potrebbe consentire la deportazione di migliaia di esuli e rifugiati uiguri verso Pechino.
«L’Ue deve assolutamente agire anche contro la Turchia. Siamo molto preoccupati dalla possibile ratifica di questo accordo. L’Ue e le Nazioni Unite hanno l’obbligo morale, e legale, di difendere e tutelare i rifugiati», osserva Isa che proprio come milioni di esuli Uiguri sparsi in tutto il mondo nel 1994 ha trovato rifugio fuori dalla Cina: «Sono un cittadino tedesco dal 2006, ma il governo cinese continua ad etichettarmi come un terrorista». Ma non solo.
I legami con la famiglia
A partire dal 2017 Isa ha perso ogni contatto con la sua famiglia: «Mia madre è morta nel 2018 in uno dei campi di internamento. Hanno distrutto tutta la mia famiglia. Mio fratello maggiore è stato condannato a 17 anni di detenzione, mentre di quello minore ho perso ogni contatto a partire dal 2016. Non so quali parenti siano ancora vivi e quanti siano morti. Questa è la mia storia». I massivi sistemi di sorveglianza utilizzati dal governo cinese hanno trasformato lo Xinjiang in una società orwelliana. Con centinaia di posto blocchi, e sistemi di riconoscimento facciale, qualsiasi movimento è monitorato nei minimi dettagli e far uscire informazioni è sempre più difficile.
«Ho saputo della morte di mio padre e di mia madre dai media cinesi». Del padre – aggiunge – «non so né dove, né come sia morto e in quali circostanze. E non so quando. Davanti a queste atrocità è impossibile stare in silenzio». Per questo, ribadisce Isa, «anche l’Onu deve agire nei confronti della Cina. A oggi, le azioni dell’Onu sono state molto deludenti. Ma anche in Europa – osserva ancora – non si è fatto abbastanza«. «Sanzionare ufficiali cinesi è un passo avanti, ma l’Europa non può continuare a fare affari con aziende cinesi coinvolte nel lavoro forzato degli Uiguri».
Montaggio video: Open/Vincenzo Monaco
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