Dopo un anno la Francia richiude le scuole. De Vogli: «In Italia rischiamo la stessa fine se non cambiamo strategia» – L’intervista
La Francia torna a chiudere le scuole a un anno dall’ultima volta. Con un discorso alla nazione, il 31 marzo il presidente Emmanuel Macron ha annunciato lo stop di tutte le attività in presenza per 3 settimane. Dopo mesi in cui parte dell’opinione pubblica e politica ha guardato alla strategia transalpina come modello da replicare, ora anche la Francia deve fare i conti con l’incremento dei casi di Coronavirus e le sue conseguenze sui più giovani. «La Francia è stata citata molte volte come il Paese da emulare per aver tenuto aperte le scuole», spiega Roberto De Vogli, professore di Salute Globale dell’Università di Padova. «E invece ora abbiamo davanti agli occhi quello che tutta la valida letteratura scientifica ci dice da tempo».
De Vogli si sta occupando – insieme ad altri colleghi – di analizzare i rischi reali collegati alla didattica in presenza effettuata in ambienti non sicuri (come nel caso di molte classi italiane). Ora che il governo Draghi ha annunciato il ritorno a scuola di quasi tutti gli studenti dopo Pasqua, l’urgenza di non lasciare tutto al caso si fa più insistente. «Il rischio di finire come la Francia esiste se non prendiamo le accortezze necessarie», ha spiegato. A conferma della preoccupazione arrivano anche i dati inglesi, che dimostrano come, dopo una vaccinazione aggressiva e un lockdown molto forte, la ripresa dei contagi si sta manifestando soprattutto nella fascia di età 0-20, a seguito della riapertura delle scuole dopo intorno all’8 marzo. «Riaprire le scuole perché i politici hanno stabilito a priori che le scuole sono sicure (nonostante anche la letteratura sulle varianti sia discordante) non è un buon metodo per tenere sotto controllo l’epidemia».
Perché ha fallito lo screening settimanale
Ma non era certo una novità per i francesi il fatto che gli ambienti scolastici richiedessero una maggiore accortezza e un maggior controllo. Già nel periodo tra settembre e ottobre dello scorso anno era emerso come un terzo dei cluster registrati nel Paese fosse riconducibile alle scuole e alle università. Accanto alle regole basilari come l’utilizzo delle mascherine e il distanziamento, la Francia aveva quindi previsto (come l’Italia) dei protocolli precisi in caso di focolai. Inoltre, aveva iniziato anche uno screening settimanale degli studenti con i test salivari, più attendibili sui soggetti con bassa carica virale come succede spesso nei bambini. Con un aumento dei casi sul territorio, però, e un sistema sanitario entrato in sovraccarico, anche la scuola ha dovuto fare un passo indietro.
«Non si può fare un piano tamponi e basta, pensando che non ci sia bisogno di seguire una strategia di monitoraggio e confronto dati su tutto il territorio», spiega De Vogli. «È vero che noi in andiamo verso un periodo più favorevole rispetto all’inverno, ma nessuno scenario è da sottovalutare. Perché la verità è molto semplice: la scuola è sicura quando c’è bassa trasmissione nel territorio. Ma se perdiamo il controllo dell’epidemia sul territorio, allora le scuole saranno le prime a farne le spese».
Quali modelli guardare
La scelta del lockdown, come ormai è noto, non è sinonimo di una gestione virtuosa. I Paesi che devono ricorrere alle misure più drastiche sono quelli che non sono riusciti ad aggredire il virus prima che prendesse il controllo di tutto il territorio. Con ancora 500 morti al giorno e oltre 20 mila contagi quotidiani, in Italia l’unica arma che ci rimane è la chiusura totale. Ma, come spiega De Vogli, dovremmo imparare la grande lezione dei Paesi asiatici: Vietnam (35 morti), Singapore (30 morti), Taiwan (10 morti).
«Quei paesi hanno vinto la partita del virus, combattendo attraverso la chiusura dei confini, i test di massa, il tracciamento tempestivo dei contagi e l’isolamento dei cluster», ha spiegato. «Noi invece facciamo il contrario: lasciamo andare il virus e poi quando ci esplode addosso chiudiamo tutto». Ecco perché, secondo De Vogli, l’Italia sta sbagliando strategia dall’anno scorso e «continua a non imparare dai Paesi più virtuosi». Ma fino a che non cambierà strategia, tutti i discorsi sulla scuola saranno vuoti.
Immagine di copertina: EPA/STEPHANE DE SAKUTIN
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