In crisi il programma per vaccinare i Paesi poveri : «Attenti, abbiamo solo 9 mesi di tempo. Poi le nuove varianti renderanno inefficaci i vaccini» – L’intervista
A partire da metà febbraio il numero dei contagi in India è tornato ad aumentare drasticamente. Con una media giornaliera di oltre 65 mila nuovi casi da Coronavirus nell’ultima settimana, il governo ha deciso di tagliare drasticamente il volume di dosi esportate, per favorire la distribuzione interna e accelerare la campagna vaccinale. Attraverso l’istituto indiano Serum, l’India è il più grande produttore di vaccini al mondo. E alla fine del 2020, all’interno del programma Covax per l’accesso equo dei vaccini, il Serum Institute ha chiuso un accordo con l’alleanza Gavi per fornire almeno 1.1 miliardi di dosi da destinare ai Paesi più poveri.
Le centinaia di milioni di dosi di AstraZeneca prodotte su licenza dal Serum Institute of India, costituiscono circa il 70% delle consegne previste dal programma Covax in questa prima fase. L’organizzazione ha fatto quindi sapere ai Paesi più poveri coinvolti nell’iniziativa che la consegna delle dosi promesse per marzo e aprile dall’istituto Serum avrebbero subito dei ritardi. A oggi, il 75% delle vaccinazioni somministrate nel mondo sono state fatte in Paesi ad alto reddito. «Il programma Covax avrebbe dovuto introdurre delle modifiche al monopolio sui vaccini, invece, nonostante la pandemia, tutto è rimasto com’era», spiega a Open Sara Albiani, Global Health Policy Advisor di Oxfam Italia.
Dopo lo stop all’export arrivato dall’India, il programma Covax si trova in grande difficoltà. Perché si è deciso di affidare a un unico sito la produzione di un terzo dei vaccini destinati ai paesi più poveri?
«È stata una scelta quasi obbligata. Il programma Covax fa per gran parte affidamento ad AstraZeneca. E l’istituto Serum era tra i pochi che aveva chiuso un accordo bilaterale per la produzione del vaccino inglese. Il vero grande problema è che è limitato il panorama dei siti che possono produrre un vaccino».
Perchè?
«Ci troviamo ancora incastrati in un sistema di monopolio e di brevetti che di fatto rende esclusiva la produzione da parte dell’impresa che ha brevettato il vaccino. Questo non permette che altri possano acquisire il know-how, a meno che non ci siano degli accordi bilaterali. È stata ristretta di molto la possibilità di avere aziende che producano i vaccini e e di conseguenza anche di programmi come il Covax di avere degli interlocutori».
Oltre alla questione dei brevetti, perché il programma Covax non sta funzionando come dovrebbe?
«Sicuramente la prima grande falla è che è sotto finanziato. Ci si è posti un obiettivo, ovvero vaccinare il 20% della popolazione dei Paesi più poveri a livello globale, che è davvero poco ambizioso. L’altro grande difetto è che essendo un’iniziativa di solidarietà internazionale non scalfisce il sistema, ma si inserisce perfettamente nel meccanismo del monopolio dei brevetti. Di fatto se i vaccini sono pochi, sono pochi anche per il Covax. Più che iniziative di solidarietà internazionale ci vogliono delle azioni politiche che riformino la proprietà intellettuale».
Lo scorso 12 marzo, India e Sudafrica hanno però proposto al Wto di sospendere temporaneamente i diritti sui brevetti. Che cosa è andato storto?
«C’è stato un blocco da parte dei paesi ricchi del mondo, tra cui anche l’Unione europea. Questo però non è un nuovo. È un approccio abbastanza tradizionale. I Paesi che si sono opposti hanno delle fortissime industrie farmaceutiche che hanno un peso enorme nello sviluppo delle economie nazionali. Difendono inoltre il dogma secondo cui solo attraverso la protezione dei diritti di proprietà intellettuale si ripagano gli investimenti in ricerca in sviluppo. Ma questo approccio è ormai superato».
In che senso?
«Nel caso dei vaccini contro il Coronavirus ci sono stati massicci investimenti pubblici. Inoltre, non ci sono prove che il sistema della proprietà intellettuale difenda e garantisca l’incentivo alla ricerca. Già nel 2006, un report dell’Oms metteva in discussione proprio questo approccio. Il punto è se abbia senso parlare di innovazione se non possono accedervi coloro che ne hanno bisogno».
Anche il direttore generale dell’Oms ha chiesto una sospensione dei brevetti. Perché questo non avviene?
« Tedros Adhanom Ghebreyesus lo sta chiedendo da tempo, così come sta chiedendo di aderire a questa iniziativa di solidarietà globale. Il problema è che sono meccanismi a cui partecipano volontariamente le industrie farmaceutiche e i governi. E sicuramente le prime non hanno interesse a partecipare. Di fatto, quello che chiedono Sudafrica e India non è una grande rivoluzione. Si tratta semplicemente di applicare il trattato di Marrakech. L’articolo 9 specifica che si può sospendere il trattato sui brevetti in caso di emergenze e di situazioni particolarmente gravi e questa lo è».
Nonostante i vaccini, l’uscita da questa emergenza sembra ancora lontana. Può ancora aggravarsi?
«Tutti sono concordi nel fatto che siamo di fronte a una corsa contro il tempo. Se non vaccineremo una buona percentuale della popolazione nell’arco di 9-12 mesi, potrebbero svilupparsi delle varianti che renderebbero inefficaci i vaccini attuali. Per questo, assicurare a tutti l’accesso ai vaccini non è solo una questione etica e morale, ma è anche, e soprattutto, una questione di opportunità di sanità pubblica per la sicurezza di tutti a livello globale».
Il rischio è quindi elevato…
«Non ci sono mezze misure. O vacciniamo tutti, o ci trascineremo questa situazione per lungo tempo. Tutti possono importare varianti, potremmo trovarci nella situazione di dover imporre nuovi lockdown, aggravando cosi la crisi economico-sociale e psicologica. In un mondo connesso come il nostro è impensabile andare avanti solo a livello individuale».
Che cosa può fare dunque il programma Covax?
«Se i vaccini fossero disponibili, allora Covax dovrebbe incrementare i finanziamenti e fare accordi con più case farmaceutiche. Ma qui il problema è che non ci sono le dosi, bisogna agire su altri fronti. Bisogna riformare almeno temporaneamente lo schema che tutale la proprietà intellettuale. In una situazione di scarsità produttiva, il Covax può fare veramente poco».
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