Riparte il dialogo tra Ue e Turchia. Cosa c’è dietro la svolta cooperativa di Erdogan?
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è unita al presidente del Consiglio europeo Charles Michel per incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, nell’ultima tappa – dopo Libia e Tunisia – della sua missione nel Mediterraneo. Il bilaterale dà seguito alla road map delineata dal Consiglio europeo del 25 marzo, con l’obiettivo di rilanciare i rapporti tra Bruxelles e Ankara, dopo un anno di tensioni e gli ultimi strappi del governo turco su democrazia e diritti umani. Al centro dei colloqui diverse questioni, dalle migrazioni alle dispute nel Mediterraneo orientale, dai rapporti commerciali al rispetto dello stato di diritto.
Nell’ultimo anno le relazioni tra i Paesi europei e la Turchia hanno avuto numerosi picchi di tensione, in particolare per le esplorazioni delle navi di Ankara, che scortate dalla marina militare andavano alla ricerca di giacimenti di gas naturale nelle acque di Grecia e Cipro. Dopo mesi di provocazioni, la Turchia ha cessato le sue esplorazioni navali aprendo ai primi colloqui con Atene dal 2016 sul tema delle Zone economiche esclusive per lo sfruttamento marittimo. L’Ue ha così deciso di non procedere con le sanzioni, fino all’incarico dato a Michel.
Le ambizioni turche nel Mediterraneo orientale abbracciano tutto il quadrante e vanno da Cipro alla Libia, chiamando in causa anche l’Italia: Eni è proprietaria per il 50% del giacimento offshore egiziano di Zohr, il più grande della regione, ed è anche leader nell’esplorazione di gas naturale nelle acque contese di Cipro. Inoltre, nel teatro libico sono presenti milizie legate ad Ankara. Non è un caso se, durante la visita in Libia, Mario Draghi ha incontrato anche il premier greco Kyriakos Mitsotakis, il leader europeo più attento e impegnato a contenere le ambizioni della Turchia.
Obiettivi e risultati del vertice
Per l’Ue la priorità era il rinnovo del controverso accordo di marzo 2016 per bloccare il flusso migratorio di rifugiati siriani in Europa. Finora l’Ue si è impegnata per 6 miliardi di euro, ma Erdogan chiede altri soldi per continuare a farsi carico di 4 milioni di rifugiati. Viste le scarse possibilità di rimpatrio, oltre a continuare a finanziare l’assistenza ai profughi bloccati in Turchia, Bruxelles vuole puntare sui progetti di cooperazione e assistenza anche per i rifugiati siriani presenti in Libano e Giordania.
Il confronto è stato definito franco e aperto, al tavolo si è data particolare attenzione alla possibilità di costruire con Ankara una agenda positiva e a rafforzare i rapporti economici. Il rilancio delle relazioni però deve fare i conti con i recenti strappi interni di Erdogan, dalla tutela dei diritti delle minoranze, con la richiesta di messa al bando del principale partito curdo e gli arresti di oppositori e contestatori, al discusso ritiro dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere.
Al termine del vertice, Michel e Von der Leyen hanno detto che la recente distensione deve essere sostenuta e rafforzata, e che Bruxelles è pronta a un’agenda comune basata su tre pilastri: cooperazione economica, immigrazione, contatti interpersonali e mobilità. «L’Ue è pronta a mettere sul tavolo un’agenda concreta e positiva. Il nostro impegno sarà progressivo, proporzionale e reversibile. Ci auguriamo che la Turchia colga questa finestra di opportunità», ha detto Michel.
Gli sviluppi futuri quindi dipenderanno dal comportamento di Erdogan, la possibilità di aumentare l’apertura dell’unione doganale e il regime dei visti Ue-Turchia è legata al rispetto di Ankara dei diritti umani e dello stato di diritto, come alla possibilità di offrire più risorse per il supporto ai rifugiati e maggiore partecipazione ai dossier del dialogo bilaterale. L’Ue tende la mano alla Turchia, con l’auspicio che Erdogan capisca e colga l’opportunità. C’è anche una scadenza per la prima verifica: i progressi saranno valutati nel Consiglio europeo di giugno.
Dietro la svolta di Erdogan
Dopo il vertice di ieri, l’Ue vuole verificare se il cambio di atteggiamento di Ankara è reale o solo una manovra tattica. Erdogan è mosso soprattutto da ragioni interne, la sua non è una svolta genuina. Una posizione pro-Ue unita a una riforma economica filo-occidentale potrebbe risollevare l’economia turca e rafforzare la sua immagine di unico leader capace di incarnare una Turchia potente (sul piano militare), moderna (sul piano economico) e tradizionalista (sul piano religioso). Un successo che potrebbe dargli il consenso necessario per tentare il colpo di anticipare le elezioni prima della scadenza naturale del 2023, e stravincerle garantendosi un altro mandato.
All’Ue, dal canto suo, fa comodo evitare di sanzionare e aggravare le tensioni con un partner commerciale così importante, privandosi della possibilità di avviare un asse di alto livello con Ankara. L’idea di un’adesione della Turchia all’Ue invece va considerata fuori discussione, nonostante formalmente sia ancora un Paese candidato all’adesione. Resta aperto inoltre il problema delle ambizioni turche nel Mediterraneo. Durante il vertice si è discusso anche dei conflitti regionali, compresa la Libia. Michel ha detto che tutti i combattenti e le truppe straniere (turche e russe) devono lasciare il territorio libico, difficile che Erdogan ubbidisca.
C’è stato un tempo in cui la strategia turca mirava ad avere «zero problemi con i vicini» come enunciato dall’ex ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu. Ankara portava avanti riforme positive sul fronte interno mentre cercava rapporti di cooperazione con i vicini, in base alla comprensione e agli interessi convergenti. Quei giorni sono finiti, sostituiti dal una volontà di potenza che resterà tale anche senza Erdogan. L’Ue è obbligata a trovare un equilibrio con il suo difficile vicino, ma anche la Turchia è obbligata a fare altrettanto e Bruxelles sta iniziando a comportarsi di conseguenza.
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